Dal 16 marzo al 9 maggio 1978, in 55 giorni si consuma il sequestro, la prigionia e la morte di Aldo Moro, all’epoca il Presidente della Democrazia Cristiana e soprattutto l’artefice principale della via al dialogo con il Partito Comunista. Sono passati 43 anni eppure, come ha ricordato oggi il Presidente Sergio Mattarella per la Giornata della Memoria per le vittime di terrorismo e stragi, le verità ancora non sono emerse del tutto: «Il terrorismo non è riuscito a realizzare l’ambizione di rappresentare una cesura, uno spartiacque nella storia d’Italia. Il disegno cinico — non esente da collegamenti a reti eversive internazionali — di destabilizzare la giovane democrazia è stato isolato e cancellato», ha spiegato a Repubblica il Capo dello Stato, ricordando però come «ci sono ancora ombre, spazi oscuri, complicità, non pienamente chiarite, l’esigenza di completa verità è molto sentita dai familiari. Ma è anche un’esigenza fondamentale per la Repubblica».
Oggi in Senato per la commemorazione del Giorno della Memoria, la Presidente del Senato Maria Elisabetta Alberti Casellati ha commentato «È un dolore che non si prescrive e che ci chiede oggi di proseguire con costante determinazione la strada per la verità e la trasparenza», con riferimento neanche tanto velato alle recenti catture in Francia di 9 latitanti ex terroristi “rossi”, di cui molti di quelle stesse Brigate Rosse che rapirono e uccisero l’ex Presidente del Consiglio.
SEQUESTRO E MORTE DI ALDO MORO: LA CRISI DELLO STATO
Un colpo continuo dell’ideologia e della criminalità ai fianchi di uno Stato che, soprattutto nel caso Moro, si è dimostrato inesorabilmente in crisi: tra chi non voleva cedere ai terroristi BR a chi invece voleva prodigarsi per salvare il politico Dc, con misteri e “silenzi” che perdurarono ancora oggi 43 anni dopo la strage di Via Fani e il ritrovamento del corpo di Aldo Moro in via Caetani all’interno della Renault 4. Secondo le indagini e i numerosi processi, in quel triste giorno a Roma del 1978 il commando delle Brigate Rosse concludono il sequestro con la sua uccisione. Fanno entrare Aldo Moro nel portabagagli dell’auto rubata qualche giorno prima all’imprenditore Filippo Bartoli, gli dicono di stendersi e che stanno per trasportarlo da un’altra parte. A quel punto gli mettono addosso una coperta e sparano dodici inesorabili colpi che uccidono il politico Dc.
Il 13 maggio 1978 nella basilica di San Giovanni in Laterano, l’allora cardinale vicario di Roma Ugo Poletti, officia i funerali di Aldo Moro alla presenza di Papa Paolo VI. Il Pontefice, amico intimo del politico della Democrazia Cristiana (che fino all’ultimo tentò di pagare il riscatto per liberarlo), al termine della celebrazione con sofferenza e tristezza recita la preghiera, scritta di suo pugno, rivolgendosi a Dio per quell’amico che non c’era più: «Ed ora le nostre labbra, chiuse come da un enorme ostacolo, simile alla grossa pietra rotolata all’ingresso del sepolcro di Cristo, vogliono aprirsi per esprimere il “De profundis”, il grido, il pianto dell’ineffabile dolore con cui la tragedia presente soffoca la nostra voce. Signore, ascoltaci! E chi può ascoltare il nostro lamento, se non ancora Tu, o Dio della vita e della morte? Tu non hai esaudito la nostra supplica per la incolumità di Aldo Moro, di questo uomo buono, mite, saggio, innocente ed amico; ma Tu, o Signore, non hai abbandonato il suo spirito immortale, segnato dalla fede nel Cristo, che è la risurrezione e la vita. Per lui, per lui. Signore, ascoltaci!».