Continuerà questa sera la messa in onda della serie Il nostro Generale. In onda su Rai 1 dalle 21:25 con un doppio appuntamento, la serie ripercorre la storia di quel Nucleo speciale antiterrorismo che venne istituito dallo Stato per combattere le Brigate Rosse dopo l’omicidio di Aldo Moro e alla cui testa venne messo il Generale Carlo Alberto della Chiesa. Dalla prima puntata si è visto come il punto di svolta per le indagini fu la morte dello statista Aldo Moro, da anni impegnato perché si riuscisse a giungere a quel famoso compromesso storico che avrebbe avvicinato, per la prima volta, la destra alla sinistra italiana, capitanata in quegli anni da Berlinguer.



Aldo Moro: la prigionia e la morte

Il 9 maggio 1978 fu una data importante per la storia italiana perché fu il giorno in cui venne trovato, nel bagagliaio di una Renault 4 rossa a Roma, il cadavere di Aldo Moro, personaggio di punta nella politica italiana di quegli anni. Impegnato sul fronte del compromesso storico che avrebbe dovuto portare ad una nuova pagina della Repubblica Italiana, divenne pian piano un uomo scomodo per le Brigate Rosse, gruppo terroristico che ha scosso gli anni ’70 italiani.



La prima tappa di questa vicenda fu il 16 marzo 1978 quando il presidente della Democrazia Cristiana, Aldo Moro, fu rapito, in occasione del giuramento per il nuovo governo del compromesso. L’auto su cui viaggiava fu speronata, la sua scorta uccisa e lui chiuso nel bagagliaio di un’auto. Alle 10 del mattino le Brigate Rosse, annunciando di aver attaccato “il cuore dello Stato”, rivendicarono il rapimento. Iniziarono i 55 giorni di prigionia di Aldo Moro, tenuto rinchiuso in un punto che non è mai stati veramente chiarito. Il triste epilogo di questa vicenda, però, fu il 9 maggio, quando le Brigate fecero trovare il corpo dello statista chiuso nel bagagliaio della Renault 4, crivellato di proiettili.



I mandati dell’omicidio di Aldo Moro

Per lunghissimo tempo non si è mai smesso di indagare su chi abbia, veramente, voluto Aldo Moro morto. Ovviamente, l’esecuzione materiale dell’omicidio fu chiarita ed imputata unicamente alle Brigate Rosse. Il carceriere di Moro era il ricercato Prospero Gallinari, a lungo creduto anche boia dello statista, mentre anni dopo si capì che l’esecutore fu Mario Moretti, aiutato dal complice Germano Maccari. Il più grosso dubbio, però, è se qualcuno, tra le fila del governo, abbia tramato o auspicato la morte di Aldo Moro, e per quale ragione. Questa tesi (che trova terreno fertile soprattutto nel fermo rifiuto del presidente Andreotti di trattare per il rilascio di Moro), tuttavia, non ha mai trovato reali riscontri in tribunale, portando gli inquirenti ad abbandonarla nel corso degli anni.