Quando Aldo Moro cominciò a frequentare Comunione e Liberazione, negli anni Settanta, era un uomo politico molto importante. Già più volte ministro, segretario della Democrazia cristiana, presidente del Consiglio, in quel decennio sarebbe tornato a svolgere il ruolo di ministro, agli Esteri, e di presidente del Consiglio, per essere poi nominato presidente della Dc. Ma nella sua vita c’era stata una cesura: il Sessantotto, che ha segnato negativamente la vita di tanti, fu invece per Aldo Moro l’occasione di un nuovo inizio.



“Tempi nuovi si annunciano e avanzano in fretta come non mai” disse al Consiglio nazionale della Dc il 22 dicembre 1968, sottolineando “il vorticoso succedersi delle rivendicazioni, la sensazione che storture, ingiustizie, zone d’ombra, condizioni d’insufficiente dignità e d’insufficiente potere non siano oltre tollerabili, l’ampliarsi del quadro delle attese e delle speranze all’intera umanità, la visione del diritto degli altri, anche dei più lontani, da tutelare non meno del proprio”. E concluse: “nel profondo, è una nuova umanità che vuole farsi, è il moto irresistibile della storia […] un modo nuovo di essere nella condizione umana”. Occorreva dunque fermarsi, guardare con attenzione al moto irresistibile della storia e Moro, nel 1968, prese congedo dalla sua cruciale posizione di potere all’interno della Dc, proprio per dedicare tutta l’attenzione necessaria ai “tempi nuovi” che si annunciavano.



Cominciò così una stagione nuova nella sua vita, in cui Moro non abbandonò la politica ma continuò a praticarla con uno sguardo diverso e con una profondità maggiore. Aveva capito ad esempio “che i giovani, sentendosi a un punto nodale della storia, non si riconoscano nella società in cui sono e la mettano in crisi”. Era una crisi che investiva anche i partiti, la politica e la democrazia. Prendendone coscienza, cominciò a guardarsi intorno alla ricerca di interlocutori che lo aiutassero a capire e di segni speranza che lo aiutassero a trovare la strada. Nella prima metà degli anni Settanta, Comunione e Liberazione cominciò a segnalarsi come una presenza nuova e importante nella Chiesa e nella società italiana. A molti non piaceva.



Ma Moro sfidò i pregiudizi e andò controcorrente, cominciando a frequentarne gli incontri e a conoscerne gli esponenti. Lo fece, consapevole che “i giovani hanno un loro mondo” e che avevano anzitutto diritto a essere rispettati: infatti, “sono una componente autonoma, importante, influente in una realtà sociale che ogni giorno di più loro appartiene”. Attenzione, rispetto e, soprattutto, ascolto: questi furono gli atteggiamenti con cui Moro si accostò anche a Cl. Ciò che Moro aveva capito in anticipo molti altri lo compresero solo più tardi, in particolare dopo che il referendum sul divorzio fece loro scoprire un’Italia molto diversa da quella che pensavano fosse. Cominciò allora anche una crisi profonda all’interno della Dc, acuita dopo il referendum dal pessimo risultato delle amministrative nel 1975 e, soprattutto, da una grande incertezza sulla strada da prendere.

Molti leaders democristiani pensarono che ormai la Dc dovesse cambiare natura, secolarizzarsi, diventare un partito conservatore di centro-destra. Moro si oppose, non perché volesse portare la Dc a sinistra, come molti hanno pensato, ma perché l’Italia aveva ancora bisogno di una politica di “ispirazione cristiana”; anzi, ne aveva ancora più bisogno. Questa convinzione lo confermò ancor di più nella ricerca da lui intrapresa e accanto ai rapporti con Cl, che continuarono, si accostò anche ad altre esperienze che stavano allora emergendo nel mondo cattolico.

Non aveva in mente un nuovo collateralismo, con nuove organizzazioni che assumessero il ruolo svolto negli anni Quaranta e Cinquanta dall’Azione cattolica o dalle Acli nei confronti del partito. Sperava invece che esperienze autentiche e forze giovani dessero nuovo slancio e nuova creatività a una “politica di ispirazione cristiana” in una società sempre più complessa. Perché, pur considerando una grande valore la partecipazione, cioè “la presenza attiva e consapevole nella società civile di ogni persona in modo autonomo e qualche volta anche preminente nei confronti dell’esercizio del potere politico”, non si poteva ignorare che spetta a tutti la responsabilità di contribuire a rendere la società “totalmente libera ed umana”. Era un modo, profondamente rispettoso, di ricordare ai giovani che anche la politica rientra nella vocazione di un cristiano.

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