Aldo Moro stava per essere liberato, per giunta proprio quel 9 maggio di 43 anni fa, quando, invece, fu ucciso. A rivelarlo è stato monsignor Fabio Fabbri (ex braccio destro del Capo dei cappellani delle carceri) al sito “www.formiche.net”, nell’ambito di un’intervista nella quale ha confermato il tentativo di liberare Moro da parte di Corghi, figura di riferimento del mondo cattolico, aperto al dialogo con brigatisti del calibro di Bonisoli e Gallinari.



“Sì, monsignor Curioni mi disse che Moro stava per essere liberato e che per questo era vestito di tutto punto, perché dopo la visita medica al policlinico Gemelli avrebbe dovuto andare in Vaticano. Quello che non mi spiego è che cosa c’entrasse il Cile”. Una versione che combacia con quanto disse il 21 maggio 1978 l’allora presidente del Consiglio, Giulio Andreotti: “Un’ultima osservazione intendo fare: noi abbiamo fatto molto di più di quello che è apparso per liberare Moro, anche con trovate particolari con denaro e anche con proposte di scambi in altri Paesi. Il rimprovero ai socialisti non è quello di avere cercato una strada, ma di averla pubblicizzata”.



ALDO MORO “NON DOVEVA ESSERE UCCISO”

Aldo Moro, secondo monsignor Fabbri (intervistato da “www.formiche.net”), doveva essere scambiato con un prigioniero cileno: “Credo che il riferimento sia al tentativo di liberare un prigioniero politico cileno rinchiuso nelle carceri del regime di Pinochet, avviando così uno scambio di ostaggi come avvenne nel 1973 fra Breznev e Pinochet. Peraltro, il sacerdote riferì agli investigatori il 6 dicembre 2017 quanto segue: “Nei risvolti dei pantaloni dell’onorevole Moro al momento del ritrovamento del suo cadavere, fu rinvenuto del terriccio che io so essere del terriccio riconducibile a una cantina di un’ambasciata che all’epoca trovava sede nei pressi di via Caetani. Ambasciata attualmente non più attiva”. Dunque, sembra proprio che il destino di Aldo Moro dovesse essere diverso e sull’assassinio ci sono troppe contraddizioni e lacune. Basti pensare che la perizia balistica sull’arma che lo uccise, eseguita con la tecnologia più sofisticata, risale solo al 2016, esattamente cinque anni fa. Si trattò di una PKK, più nota come P38.

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