Fra gli ospiti di oggi di Dedicato anche il professore palermitano e scrittore Alessandro D’Avenia, in collegamento: “Abbiamo già cominciato l’anno scolastico – ha raccontato in diretta televisiva stamane parlando con Serena Autieri – e devo dire che i sentimenti sono contrastanti, entri a scuola ti viene controllato il green pass, sai che devi usare le mascherine, in un mestiere che è fatto soprattutto di volti, sorrisi, sguardi e contatto umano, c’è un’ipocondria generale che a scuola è forte e bisogna cercare di svincolarsi da questa paura. Siamo i primi ad essere abbattuti e impauriti. L’umore di ragazzi e genitori? Siamo tutti malati senza esserlo e ciò rende indisponibili all’altro, inteso come la classe ma anche i pezzi di mondo che servono ai ragazzi per liberarsi da una certa ignoranza”.



“Dobbiamo cercare – ha proseguito Alessandro D’Avenia – di dimenticare il contesto in cui ci muoviamo e riaprire le risorse di desiderio che è fondamentale, facciamo un lavoro difficilissimo. Questo mestiere si fa per i ragazzi non solo per i soldi o per altri motivi”. Quindi Alessandro D’Avenia punta il dito contro la scuola: “Viviamo in una scuola dalla struttura di fine 800 usiamo parole di gergo militare, siamo una scuola che è servita a irrigimentare un paese di contadini, rispetto al mondo che c’è fuori è totalmente inadeguata proprio strutturalmente, voi pensate che abbiamo una classe con i banchi, significa ignorare che abbiano un corpo e che abbiano solo delle menti, il cervello non funziona così, abbiamo discorporato i ragazzi, in un mondo che già lo fa con i social, è una battaglia di cultura e anche di politica anche se io non vedo a livello politico un qualcosa che vada in questa direzione. nelle scuole c’è una mancanza di sorriso”.



ALESSANDRO D’AVENIA: “LA TERAPIA? IL PROBLEMA E’ COME VENGONO RECLUTATI I PROF”

Gigi Marzullo chiede al professore se ha una terapia contro questa diagnosi, e Alessandro D’Avenia replica: “Il problema è come vengono reclutati i prof e qual è il corso di formazione che devono fare i prof. noi veniamo valutati con i concorsoni e non su come ci relazioniamo con i ragazzi”.

Quindi ha concluso parlando del suo libro, Appello, che narra di un professore cieco, non vedente: “Nel mio romanzo c’è un prof che si presenta il primo giorno di una scuola molta difficile, reclutato all’ultimo minuto, si presenta misterioso con gli occhiali ma quando li toglie dice che è cieco, e per quello obbliga gli alunni a fare un appello chiedendo il loro nome e di raccontare la loro storia, poi appoggia le mani sugli alunni, e crea una relazione con loro: il cieco riesce a tirare fuori il meglio dai ragazzi”.