CHI È ALESSANDRO MAJA, ALL’ERGASTOLO PER LA STRAGE DI SAMARATE
Uccise a martellate la moglie Stefania Pivetta e la figlia 16enne Giulia, riducendo in fin di vita l’altro figlio, Nicolò, sopravvissuto per un soffio al massacro e intervistato da Delitti in famiglia: Alessandro Maja per questo deve scontare l’ergastolo. Il suo ricorso in Cassazione è stato respinto, quindi la sua condanna è diventata definitiva: fine pena mai confermato, con tutte le le pene accessorie e i risarcimenti. La difesa voleva che gli venisse riconosciuta la parziale infermità mentale, perché l’autore della strage di Samarate sarebbe stato incapace di intendere e volere al momento del massacro, trovandosi “in una condizione psichica delirante” e nella convinzione di non avere alcuna via di uscita, tanto da pensare al suicidio nei giorni precedenti.
Ma la tesi era stata già smentita dalla perizia effettuata in primo grado. Di sicuro, sono tanti i punti non ancora chiariti della vicenda: ad esempio, l’interior designer non ha mai spiegato le cause della strage di Samarate, non si sa perché volesse sterminare la sua famiglia. Anche la relazione logora con la moglie non giustifica quella spinta assassina. Dunque, resta il giallo sul movente, che non basta ricercare “nella psiche malata“, ma ciò, come precisato nelle motivazioni di secondo grado, non vuol dire che fosse incapace di intendere e volere.
LA BATTAGLIA SULLA PERIZIA PSICHIATRICA
Alessandro Maja era nella piena condizione per comprendere ciò che stava compiendo e poteva fermarsi, come ha fatto per se stesso nel maldestro tentativo di togliersi la vita dopo la strage di Samarate. L’iter giudiziario ha chiarito che un disturbo psichico per riuscire a incidere sull’imputabilità di una persona deve renderlo incapace di esercitare il controllo dei propri atti, ma questo non è il caso di Alessandro Maja, che quindi deve rispondere dei suoi reati. Inoltre, le carte processuali hanno messo nero su bianco che non c’è un impeto alla base del massacro, anzi ha aspettato che la moglie e i figli dormissero, mentre per quanto riguarda il primogenito, è riuscito a salvarsi solo per una “fortunata coincidenza“.
Dal canto suo, Alessandro Maja in aula ha espresso il suo pentimento, ritenuto però irrilevante dai giudici per quanto riguarda il livello sanzionatorio. Può avere preso, invece, nel suo cammino rieducativo e per ambire ad eventuali benefici sulla sua pena. Infine, per quanto riguarda gli sforzi economici per il figlio, alle prese con un delicato percorso di riabilitazione, sono stati apprezzati dai giudici, secondo cui però restano di “minima entità” rispetto al danno provocato, precisando che il risarcimento è un obbligo di legge.
IL PENTIMENTO DI ALESSANDRO MAJA
“Adoravo la mia famiglia“, dichiarò nella prima udienza di appello a Milano. Alessandro Maja parlò di uno stato di “squilibrio emotivo” per il quale voleva “cancellare” la sua famiglia, affermando di confidare “nel perdono di Gesù” in virtù del suo pentimento. “Non riuscirò mai a perdonarmi e spero nella clemenza e in una pena adeguata“, aggiunse l’uomo, ma il suo presunto disturbo di personalità, invocato a più riprese dalla difesa per arrivare a un vizio parziale di mente che non è stato però riconosciuto, non ha fatto scemare la sua capacità di intendere e di volere, sostengono i giudici.