Nella giornata di oggi si è tenuto un nuovo appello a carico di Alessia Pifferi, accusata di aver lasciato morire di stenti sua figlia Diana, di 18 mesi, per recarsi a Leffe dal suo compagno. La piccola è rimasta sola per 6 lunghi giorni, senza alimentazione e senza nessun altro tipo di sostentamento, morendo, secondo quanto è emerso oggi a processo, per disidratazione nel caldo luglio dello scorso anno.



Commentando l’esito del processo, la difesa di Alessia Pifferi ha sottolineato come sia emerso “un quadro di una Milano periferica abbastanza triste, di una situazione che era già piuttosto evidente per come era stata delineata”. Ovviamente il processo di oggi non cambierà le imputazioni a carico della madre di Diana, già ritenuta senza ombra di dubbio colpevole della morte della piccola, di fatto abbandonata in casa, ma potrebbe delineare un nuovo impianto accusatorio per decidere eventuali aggravanti o attenuanti. La difesa di Alessia Pifferi, infatti, ci tiene a specificare che “non c’è stata nessuna assunzione di Benzodiazepine“. Quelle individuate, spiega, erano “tracce quasi inesistenti” che lasciano aperta solo l’ipotesi del “contatto. Una persona che le assume e tocca la piccola Diana”.



“Alessia Pifferi si prostituiva per 20 euro a prestazione”

Dal processo, ha spiegato ancora la difesa di Alessia Pifferi, “abbiamo capito quando la bambina è venuta a mancare, quindi o il 18 o il 19 di luglio anche se in realtà non ci sono certezze. Abbiamo capito che c’è stata una gravissima disidratazione che l’ha portata alla morte, però anche in questo caso non abbiamo ben compreso se ci sia stata una perdita di coscienza”. Spiega, infatti, che “il problema [è] una bambina che non piange o forse piange ma nessuno sente”.

“Questa donna”, spiega la legale parlando di Alessia Pifferi, “era priva di mezzi di sostentamento, non aveva denaro e cercava di guadagnarlo nel modo più semplice per tutte le donne da millenni, si prostituiva. È molto triste, perché a differenza di quello che ah detto il dottor Calì [il capo dell squadra mobile di Milano, ndr.] non si trattava di 200/300 euro a notte, ma di 20/40 euro a prestazione”. In conclusione, la legale di Alessia Pifferi ha sottolineato anche che “è vero che usava questi autisti per fare avanti e indietro vero il compagno, perché non era in grado di utilizzare altri mezzi di locomozione, dato che non aveva la patente e non poteva usare i mezzi pubblici da Milano a Leffe”.