La capacità di intendere e di volere di Alessia Pifferi sarà stabilita da una perizia psichiatrica disposta dalla Corte di Assise di Milano, con termine fissato per il 26 febbraio 2024. L’incarico è stato conferito allo psichiatra Elvezio Pirfo, il quale dovrà accertare, ad esempio, se la donna accusata di omicidio pluriaggravato, per avere lasciato morire di stenti la figlia Diana abbandonandola in casa per sei giorni, sia affetta da un disturbo mentale. Il pm Francesco De Tommasi durante l’udienza ha chiesto l’esclusione della perizia della relazione basata sui colloqui con due psicologhe del carcere San Vittore, dove Alessia Pifferi è detenuta.
Ciò in quanto le professioniste avrebbero “finito per fornire all’imputata una tesi alternativa difensiva“. La tesi del pm è che le psicologhe di San Vittore abbiano “manipolato” Alessia Pifferi. Per il pm è la “prova oggettiva che quello che è stato fatto in carcere è assolutamente inutilizzabile perché non conforme ai protocolli“. Ma ha anche sottolineato che gli accertamenti sono “privi di qualunque fondamento“. La Corte, però, non ha accolto la richiesta. Si tornerà in aula il prossimo 4 marzo, data in cui inizierà la discussione.
“ALESSIA PIFFERI AIUTATA A FORNIRE VERSIONE DIVERSA”
La relazione delle psicologhe del carcere San Vittore conclude che Alessia Pifferi avrebbe un quoziente intellettivo di una bambina di 7 anni. Ma per il pm, la donna è stata aiutata da loro a fornire una “versione differente rispetto a quella che spontaneamente aveva fornito sin dall’inizio“. Quindi, quello della donna non sarebbe stato “un percorso di assistenza“. In realtà, ci sarebbe stata una “rivisitazione dei fatti contestati in un’ottica difensiva” che, come riportato dal Fatto Quotidiano, ha portato ad una “ricostruzione alternativa” tramite una serie di “colloqui” intercorsi “con ritmo frenetico” prima delle udienze del processo.
Pertanto, il pm è tornato ad accusare la struttura sanitaria del carcere. Ad esempio, gli accertamenti a cui è stata sottoposta Alessia Pifferi sono “inverosimili, inattendibili, inutilizzabili e privi di qualunque fondamento e dignità scientifica“. Le due psicologhe sono indicate come responsabili di aver “suggerito” alla donna una “versione“. A finire sotto accusa diversi colloqui, a partire da quello del 12 settembre scorso, la settimana prima della deposizione in aula dell’imputata. La donna disse di “aver paura di non riuscire a rispondere alle domande del pm e del giudice“.