C’è Alex Britti negli studi di Oggi è un altro giorno, programma in onda tutti i pomeriggio su Rai Uno, e condotto da Serena Bortone. Le prime parole dell’artista sono per il suo libro: “Mi è venuta voglia di raccontarmi dopo tanti dischi e tanta carriera. Volevo fermarmi per motivi miei personali, poi siamo stati fermi un paio d’anni (per il covid ndr), e durante la pausa ho riflettuto molto ed ho tirato fuori la mia storia. Ho ritrovato delle sensazioni quando sono tornato a descrivere certe cose passate, soprattutto vissute all’estero. Ad esempio l’odore dei club del nord Europa quando vai a suonare jazz, stanno di birra stagnate che in Italia non c’è”.



Nel libro scrive che la messa della domenica, grazie a Don Franco, era un live: “Leggo che davano lezioni di chitarra in parrocchia, sono andato a vedere e c’era Don Franco giovanissimo che dava lezioni. Un sabato pomeriggio sono andato assieme ad altri amichetti e abbiamo imparato a suonare. Da lì è partito un mondo, e ricordo ancora le sensazioni delle corde che vibrano e diventano una magia, e quel qualcosa che è successo mi ha colpito moltissimo e da bambino ancora di più, io sono ancora sotto l’effetto di quella cosa”.



ALEX BRITTI: “NON MI SENTO UN BRAVO CHITARRISTA, CERCO SEMPRE IL SUONO GIUSTO”

Io non ho fatto conservatorio – ha continuato Alex Britti – suono a orecchio, ho imparato ascoltando i dischi. All’inizio ascoltavo Bennato, quindi Santana, Steve Ray Vaughn, cercavo di capire dove stavano le mani e suonavo i loro pezzi con la chitarra. Non mi sono mai posto il problema di essere bravo, ho cercato sempre una sensazione di appagamento, di sazietà. Io non mi sento bravo, a volte ho la percezione di aver gradito un gradino ma voglio salirne un altro. Io sono sempre alla ricerca del suono giusto, non tanto della tecnica”. Sui suoi genitori: “Papà e mamma erano abbastanza contenti, eravamo una famiglia normale, borghese, avevano capito che la chitarra non era un giocattolo ma qualcosa di più importante. Io me ne stavo spesso in cameretta e suonavo”.



Sul rapporto col padre, affetto da disturbo bipolare, Alex Britti spiega: “C’erano semplici sbalzi di umore, aveva un caratteraccio, ma all’epoca si confondeva questa cosa, i papà di quegli anni erano diversi rispetto ad oggi, il padre padrone era abbastanza comune come cosa. Passava momenti in cui era simpatico, carismatico e giocherellone, e poi c’era l’altra faccia della medaglia. Io me ne stavo per i fatti miei a suonare, avendo iniziato a suonare a 8 anni ho avuto tanto tempo per stare da solo, poi appena ho finito il militare sono andato a vivere da solo perchè era difficile spiegare alla mia famiglia che tornavo di notte dopo aver suonato. Mio papà non capiva certe cose e per evitare discussioni me ne sono andato a vivere da solo. Io già da ragazzino suonavo nei locali, avevo una mia indipendenza economica”. Sulla vittoria di Sanremo Giovani: “Ero incredulo, anche la mia casa discografica non era convinta, anche se io ero convinto della canzone. Io comunque ero andato a Sanremo per la vetrina che ero e non sono mai stato molto affezionato alle classifiche, le chart non significa che uno è il più bravo. Quella canzone piace ancora oggi e quello è il mio gol”. Una canzone che piacque anche a Mina: “Mi chiamò il figlio che mi chiedeva se poteva cantare la mia canzone ma all’inizio non ci credevo, pensavo a Scherzi a Parte. Poi un’ora dopo mi hanno detto che era una telefonata reale e allora ho richiamato ed ho chiesto scusa. Lei è molto simpatica, una volta mi ha tenuto un quarto d’ora al telefono facendo finta di essere la segretaria del figlio, poi l’ho riconosciuta dalla risata”. Anche Alex Britti come Mina ha deciso di uscire un po’ dalla scena: “Ho scelto di non scrivere più tormentone, non so più cosa sto suonando ora, scrivo musica con tanti strumenti, con la chitarra, e non mi piacciono le etichette”. Curioso l’aneddoto raccontato su Luciano Pavarotti: “Dissi di no quando mi chiesero di cantare con Pavarotti, era un anno che facevo il cantante e mi vergognavo, avrei fatto sicuramente una figuraccia, era come andare a suonare la chitarra con Hendrix”. Sulla paura di lavoro: “Non ci vado sull’aereo, è da una trentina d’anni che non volo, il 24 dicembre 1991 tornando da Olbia l’ultimo volo. Dopo alcuni viaggi storti avevo il terrore, ho avuto anche attacchi di panico in volo, provavo la ‘sudarella’”.