È ancora un giallo la morte di Alex Marangon, il 25enne trovato senza vita lungo il Piave dopo un rito sciamanico nell’abbazia di Vidor (Treviso) al quale avrebbe partecipato il 29 giugno scorso. L’inchiesta è per omicidio a carico di ignoti e l’autopsia avrebbe svelato che il decesso avrebbe cause violente e non accidentali, sul corpo diverse lesioni tra cui una ferita profonda alla testa e costole rotte. Secondo chi indaga, Alex Marangon sarebbe stato vittima di un brutale pestaggio prima di finire in acqua, e un altro mistero si somma all’intricata vicenda: due sciamani colombiani che erano presenti quella sera, presunti testimoni chiave della scomparsa del giovane, sarebbero spariti nel nulla poco prima dell’arrivo dei carabinieri. Di loro non ci sarebbe traccia dall’alba del 30 giugno, cioè da circa 48 ore prima del ritrovamento del cadavere di Alex Marangon.



All’evento avrebbero preso parte almeno 20 persone e una di loro, il musicista che lo avrebbe organizzato, ha parlato ai microfoni del Corriere della Sera per spiegare la sua versione relativamente ai fatti che hanno preceduto la tragedia. Di una cosa sembra sicuro: “L’assassino non è uno di noi“. Prima di partecipare a quell’incontro, però, il 25enne avrebbe confidato a un amico di temere qualcosa, ma non avrebbe specificato l’origine della sua paura. 



Alex Marangon morto dopo il rito sciamanico nell’abbazia: le parole dell’organizzatore

Secondo gli inquirenti, Alex Marangon sarebbe stato ucciso e gettato in acqua il giorno stesso della scomparsa, tra il 29 e il 30 giugno scorsi. Il cadavere è stato trovato pochi giorni dopo, in condizioni che per chi indaga riconducono a un omicidio. Le lesioni rilevate sul corpo, infatti, escludono cause accidentali dietro il decesso e rilanciano lo scenario di una morte violenta. L’ipotesi è quella di un brutale pestaggio, ma è ancora caccia al killer. Non si esclude che ad aggredire Alex Marangon possano essere state più persone, mentre ora l’organizzatore del rito, Andrea Zuin, rompe il silenzio e parla ai microfoni del quotidiano di via Solferino.



Secondo le sue parole, dietro quell’evento non ci sarebbe l’uso di Ayahuasca, erba illegale in Italia, bensì l’assunzione di “purghe per depurarci, un rito propedeutico alla musica curativa” durante l’incontro. Cosa è successo però quella notte? “Erano le 3 e mezza, eravamo dentro all’abbazia, io stavo cantando e suonando, c’era chi danzava, chi si abbracciava, Alex Marangon si è alzato ed è uscito verso il giardino, è andato verso il fuoco che c’era fuori, non ci ho visto nulla di strano, succede che ci si allontani, ma non volevamo che nessuno rimanesse solo all’aperto, per cui Jhonny (Benavides, uno dei due “curanderi” colombiani ora irreperibili, ndr) e il suo amico medico lo hanno seguito per accertarsi che stesse bene, sono rientrati poco dopo, alla fine della canzone che stavo suonando, è venuta una terza persona a dirmi che Alex era ‘andato giù per il sentiero’ e che non si trovava“. Stando al racconto del musicista, il giallo della scomparsa di Alex Marangon sarebbe scattato in 7 minuti, il tempo di una canzone, ma l’assassino andrebbe cercato fuori dalla cerchia di persone che hanno partecipato al rito: “Chi vive quell’energia, non può commettere un omicidio“. Soltanto le indagini, ora in pieno svolgimento, potranno dire se ha ragione o no.