Era il 30 aprile 2020 quando, in pieno lockdown, Alex Pompa intervenne durante una lite tra i suoi genitori e sferrò al padre Giuseppe 34 fendenti con 6 coltelli diversi uccidendolo a Collegno. Per il giovane, accusato di aver ucciso il padre per difendere la madre, è stata richiesta la pena di 14 anni di carcere dal pm Alessandro Aghemo, una condanna elevata che però lo stesso pm ha detto di essere stato “costretto” a proporre al termine della sua requisitoria. Aghemo ha chiesto alla Corte di Assise di sollevare una questione di legittimità costituzionale sulla norma che impedisce di concedere la prevalenza delle numerose attenuanti.
Secondo il pm Aghemo, le continue vessazioni compiute da Giuseppe Pompa sarebbero state “enfatizzate” nel corso del processo e l’uomo che “si comportava in maniera ingiustificabile, ha pagato con la vita. Una pena più alta di quella che avrebbe meritato ma era l’artefice delle sofferenze del figlio”. Alex infatti soffre di una sindrome post-traumatica provocata dal comportamento del padre. Il pm ha chiamato in causa le attenuanti generiche e della provocazione per accumulo: “Il codice mi impedisce di chiedere la prevalenza delle attenuanti sull’aggravante del vincolo di parentela e quindi una pena inferiore. Valutino i giudici se questa norma è ragionevole”.
Alex Pompa, a processo per l’omicidio del padre
Giuseppe Pompa nel corso del processo è stato descritto come una persona “ossessiva, aggressiva, molesta e problematica”. La moglie, Maria Caiola, ha detto in aula che l’uomo collegno e nel corso dei mesi aveva registrato tutti gli insulti e le sfuriate del marito perché convinta che prima o poi avrebbe ucciso lei e i suoi figli. La goccia che ha fatto traboccare il vaso è arrivata il 30 aprile 2020.
Alex, stanco dell’ennesima lite e violenza nei confronti della madre, ha preso in mano il coltello e ha colpito con svariati fendenti il padre. Il gesto è stato estremo, ma il pm ha visto nel giovane “un bravo ragazzo, serio e studioso”.