Una maxi inchiesta è apparsa oggi su Repubblica che ricostruisce nei minimi dettagli la travagliata vicenda umana, sportiva e giudiziaria di uno dei più grandi campioni della marcia mondiale, Alex Schwazer. Dopo 5 anni di sentenze e controsentenze, la vicenda del campione e del suo allenatore-simbolo dell’anti-doping mondiale (Sandro Donati, ndr) vede ormai quasi tutti i media nazionali schierati sulla tesi del complotto contro il campione che una volta colpevolmente e la seconda da vittima rimarrà per sempre legato al binomio corse-doping. Dopo aver raccontato nel 2015 in Tribunale di aver assunto l’eritropoietina (Epo) e soprattutto dopo aver svelato come due dirigenti italiani della Federazione Italia di Atletica Leggera sapevano tutto di quel doping, il calvario per il campione altoatesino non si è mai concluso: bene, il cronista Nando Sanvito per il Sussidiario.net è anni che indaga e prova a ricostruire la verità attorno a Schwazer-Donati, quando ancora tutti i grandi giornali italiani e internazionali ritenevano la tesi del “complotto” poco più che una bufala. Oggi, dopo infiniti processi e dopo che la carriera di Alex è stata quasi del tutto distrutta (impedendogli in extremis nel 2018 le Olimpiadi di Rio) dalle decisioni IAAF e WADA, quest’inchiesta di Carlo Bonini, Attilio Bolzoni e Fabio Tonacci su Repubblica prova a restituire un’interezza di percorso con tutti gli snodi della triste e scandalosa vicenda che segue la prima e unica ammissione di doping di Alex Schwazer.



IL COMPLOTTO SENZA ‘COLPEVOLI’

Urine prelevate (e positive al doping) in quel indimenticabile notte di Capodanno del 2016 e poi con ogni probabilità manipolate, ostacoli messi l’uno dopo l’altro al percorso di verità e denuncia di Alex con l’allenatore Donati sono solo le punte dell’iceberg di una maxi “cupola” che pone i vertici dell’Atletica e dello Sport internazionali in una posizione secondo l’inchiesta di Rep assimilabile a quelle mafiose. Lo accusano di essere un drogato, un recidivo, un mascalzone: ma Alex non ci sta, sa di essere innocente e con lui all’inizio c’è solo la famiglia e l’ormai inseparabile Sandro, come raccontato splendidamente da Nando Sanvito in tutti questi anni di scrupolosi e dettagliati reportage. «È ovvio che la difesa legale di WADA e IAAF si concentri a screditare l’attendibilità scientifica della sperimentazione che sta alla base della perizia del colonnello del RIS Giampietro Lago. Resta però da chiedersi come mai la WADA in questi ultimi due anni non abbia condotto una sperimentazione parallela secondo il metodo indicato dal suo perito per smentire le conclusioni di Lago», scrive il giornalista ex Mediaset nell’ultima “puntata” di articoli sul caso Schwazer riferendosi agli ultimi capitolo di una storia ripetiamo di triste ingiustizia. In quella perizia il colonnello rispiega anche al processo nato dal ricorso di Alex contro i vertici WADA e IAAF: l’urina del campione azzurro conteneva, oltre a tracce di testosterone, quantità molto elevate di dna dell’atleta. Nel campione “A” i genetisti incaricati dal colonnello Lago ne trovano 350 picogrammi per microlitro, mentre nel campione “B” addirittura 1.200 picogrammi secondo la ricostruzione di Repubblica: «Non sono valori spiegabili fisiologicamente». In una recente intervista, Sandro Donati non si dice abbattuto dall’infinta sequenza di udienze che non portano alla fine il vero fulcro del problema, ovvero il timore dei vertici dello Sport di rilevare quel marcio esistente al proprio interno: «Ma ci sarebbe ancora il tempo, se pur in ritardo e solo in parte, di riparare al danno enorme causato ad Alex e anche a me che so- no il suo allenatore e anche all’immagine dello Sport», spiega l’allenatore simbolo dell’anti-doping, anche lui abbandonato da praticamente l’intero movimento dell’Atletica quando si è messo a lavorare con Alex. Ancora Donati spiega come bisognerà trovare il modo di aprire un’indagine sportiva seria «che individui le responsabilità più gravi e che intanto annulli con effetto immediato la squalifica di Alex. Dopo tutto quello che è avvenuto il controllo antidoping non può più essere quello di prima, è impensabile che le istituzioni sportive pretendano di ergersi a soggetto incorruttibile e al di sopra delle parti non dando la possibilità all’atleta per esempio di custodire una piccola aliquota dell’urina raccolta da conservare in un laboratorio accreditato per potersi difendere all’occasione».

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