Il ministro della Giustizia Alfonso Bonafede è letteralmente sotto attacco e deve stare attento a non cadere sotto i colpi del fuoco… amico: a riportarlo è il quotidiano “La Verità”, che nell’edizione di oggi, venerdì 12 giugno 2020, riporta la notizia dell‘interrogazione presentata dal deputato del Movimento 5 Stelle Giorgio Trizzino, firmatario di un durissimo documento a risposta scritta in commissione Giustizia. Oggetto del documento sono, stando a quanto riferisce la testata giornalistica, le condotte tenute da due attuali consiglieri del Consiglio Superiore della Magistratura, Marco Mancinetti e Giuseppe Cascini, entrambi presente nelle ormai celeberrime chat di Luca Palamara. In particolare, per quanto concerne Mancinetti, Trizzino fa riferimento alle “intercessioni nella carriera universitaria del figlio” agli “interventi effettuati al fine di agevolare talune nomine presso uffici giudiziari laziali anche in vista di scadenze elettorali” e, non ultimo, alle “pressanti richieste e proteste per ottenere inviti a cena presso l’abitazione dell’ex consigliera Paola Balducci”.



ALFONSO BONAFEDE: L’INTERROGAZIONE DI TRIZZINO

In riferimento a Cascini, Trizzino contesta la nomina a procuratore aggiunto in relazione alla “revoca della domanda di altro concorrente”, il “ricollocamento in ruolo del fratello Francesco”, le “pressioni esercitate su Palamara per spingerlo a contattare conduttori televisivi e così limitare la presenza mediatica di altro candidato al CSM” e le modalità con cui si sarebbe procurato un biglietto per il figlio per la tribuna autorità allo stadio “Olimpico” di Roma per una gara di UEFA Champions League. Pertanto, come scrive “La Verità”, Trizzino domanda “se e quando la Procura di Perugia abbia trasmesso al ministro della Giustizia in tutto o in parte gli atti del procedimento penale” e “se siano stati attivati accertamenti ispettivi nei confronti dei consiglieri Mancinetti e Cascini”. Nell’interrogazione, infine, si paventa la sospensione dei due dalle funzioni giudiziarie per ipotesi di indebito approfittamento, con spendita implicita, della qualità di magistrato.

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