Alfonso Sabella senza mezzi termini sulla pubblicazione degli atti del caso Open ai microfoni de Il Dubbio. «Ho capito sulla mia pelle quanto sia importante la presunzione d’innocenza. Dobbiamo valutare che dall’altra parte ci sono esseri umani che si vedono “sputtanare” gratis, senza alcun riferimento al procedimento penale»: queste le parole dell’ex magistrato del pool antimafia di Palermo che catturò Brusca, Bagarella e Aglieri.
Nel corso del suo intervento, Alfonso Sabella ha spiegato che Il Fatto Quotidiano non ha commesso illeciti nel rendere note le strategie di Renzi per contrastare gli avversari, ma ha anche sottolineato che «c’è anche il diritto dell’indagato alla sua privacy e se necessario vanno introdotti dei limiti». Senza dimenticare la pubblicazione del conto corrente bancario, il giudice ha spiegato sulle possibili soluzioni: «Per le intercettazioni telefoniche è prevista, ad esempio, un’udienza stralcio in cui, sostanzialmente, la difesa evidenzia quali sono i file che possono servire e quali, invece, possono essere mandati al macero. Probabilmente, per altri dati sensibili che vengono acquisiti nel corso delle indagini, bisognerebbe pensare a qualcosa di questo tipo».
ALFONSO SABELLA: “BASTA MASSACRI MEDIATICI”
«Il problema è che tutto questo va fatto avendo un occhio al funzionamento del processo penale, perché introdurre ancora paletti e limiti significa andare a gravare su un’unica figura processuale: il gip. O si capisce che i gip devono essere tanti quanto i pm oppure faremo un buco nell’acqua, perché il sistema non potrà mai reggere», l’analisi di Alfonso Sabella ai microfoni de Il Dubbio: «Se vogliamo delle riforme che tutelino realmente il diritto all’informazione, il diritto alla privacy e l’esercizio dell’azione penale, allora dobbiamo cercare di avere una struttura che sia in grado di gestire tutto questo. Perché tutto va fatto, ovviamente, nel contraddittorio delle parti: tornando all’esempio di prima, magari quella ricevuta che attesta un tradimento viola la privacy, ma può essere l’alibi per una persona accusata di omicidio. E per carità, mi rendo conto che non è bello, ma forse bisognerebbe anche introdurre qualche divieto di pubblicazione».