Il tribunale di sorveglianza di Roma ha confermato la reclusione in regime di 41 bis per i prossimi quattro anni per Alfredo Cospito, militante anarchico italiano detenuto nel carcere di Sassari dopo essere stato condannato per un attentato compiuto con due bombe contro la caserma dei carabinieri di Fossano, in provincia di Cuneo, nel 2006 (non vi furono morti né feriti). In seguito a tale decisione, sui social e sui siti internet anarchici sono fioccate le reazioni rabbiose, con annesse minacce: “Le conseguenze, qualsiasi saranno, sono da imputare agli apparati di Stato”, si legge. Oppure: “Non è il momento dello sconforto, è il momento della rabbia. La pagherete cara. Oggi come ieri: morte allo Stato, al capitale, ad ogni autorità”.



Come sottolineato dal “Corriere della Sera”, nel contempo Alfredo Cospito non abbandona lo sciopero della fame avviato due mesi fa e il suo avvocato, Flavio Rossi Albertini, ha comunicato che il suo assistito è determinato ad andare avanti.

ALFREDO COSPITO RESTA AL 41 BIS: ECCO PERCHÉ NON È STATO CONDANNATO ALL’ERGASTOLO

Intanto, alla luce delle minacce di natura anarchica, cresce la tensione in tutta Italia, dove nelle ultime ore si sono susseguite molteplici azioni dimostrative che hanno interessato numerose città della penisola, da Bologna sino a Foligno, volte a mostrare solidarietà nei confronti di Alfredo Cospito.



Intanto, ha evidenziato ancora il “Corriere della Sera”, a Torino, “la Corte d’Assise d’Appello ha spiegato perché ha evitato fino a questo momento di condannare Cospito e l’altra militante anarchica Anna Beniamino all’ergastolo per i due ordigni esplosi nei pressi di una caserma dei carabinieri in provincia di Cuneo, nel giugno 2006, che non provocarono morti né feriti. Una tentata ‘strage politica’, ha stabilito la Cassazione, per la quale il codice penale prevede solo il carcere a vita. Ma, anziché emettere la sentenza, i giudici si sono rivolti alla Corte costituzionale, accogliendo la tesi dei difensori, Rossi Albertini e Caterina Calia, che ritengono irragionevole non poter applicare l’attenuante per la ‘lieve entità’ del fatto”.