E così dopo che, in completa sintonia con il codice Iata di Alitalia, si è passato in rivista il mondo della navigazione aerea dall’A alla Z, ecco apparire lo Stato come socio di maggioranza della compagnia attraverso il legame tra le mitiche FS e il ministero dell’Economia, con la statunitense Delta come partner. Dal classico cilindro dovrebbe spuntare un altro socio, ma è ancora in corso una diatriba politica non di poco conto, anche perché l’unico che era sembrato entusiasta della partecipazione è anche quello che si è fatto avanti da solo: stiamo parlando del Presidente della Lazio Lotito. Ma la sua candidatura non pare aver sollevato entusiasmi, meno ancora quello dell’imprenditore brasiliano, colombiano, polacco e pure boliviano (di nascita) German Efromovich, di cui la colombiana Avianca pare non abbia un buon ricordo per una faccendina di società offshore non proprio etiche.



Ma tant’è, in tutta questa faccenda di cose singolari se ne sono viste talmente tante che un tocco di Sudamerica non poteva mancare: adesso, oltre al quarto socio, si dovrebbe iniziare a pensare a un piano (non gran coda o mezza, ma un progetto) visto che finora la maggior parte dei contendenti di una gara che di certo ha mancato d’entusiasmo (non di fantasia, come vedete) parla il linguaggio della ristrutturazione che proprio non piace a nessuno.



Va da sé che quando un’entità industriale versa in stato di crisi i primi interventi mirano a rimpicciolirla per poi, trascorso un primo periodo di rafforzamento, rilanciarla alla grande. Ci sono però delle osservazioni da fare proprio sul caso Alitalia dove, come abbiamo visto, in questi anni ne sono successe di tutti i colori tranne aver azzeccato una, ripeto una, sola mossa in grado di risollevarla.

Si è assistito più a quello che sembrava un gioco di società (fatto sulla pelle dei lavoratori) di vari imprenditori completamente a digiuno di cultura aeronautica ma grandi esperti (finora) di come fare affari con lo Stato. Giochino che ha provocato un tracollo peggiore di quello del 2008, che però ha anticipato “l’urgenza” di un partner aeronautico, arrivato il quale (leggasi Etihad) è saltato fuori il fatto (largamente prevedibile) che non si trattava di beneficenza ma di un asset che alla fine si sarebbe mangiato tutta la torta facendola sparire. E via con un altro fallimento…



Ora pare che la terza versione della questione sia un mix delle prime due, in quanto tra i nomi dei papabili quarti soci è in pole position Atlantia (famiglia Benetton) e l’impresa di Toto: ergo due grandi protagonisti di un “bluff” che, con la creazione di Cai, ha sollevato moltissimi dubbi e critiche sulle quali, guarda caso, pare che la Magistratura voglia dire la sua pure ora.

Certo, stavolta lo Stato è presente in maniera diretta (non camuffata come in Cai, dove fornì un aiuto finanziario notevole, poi dilapidato e andato ad aggiungersi alla colossale cifra assorbita dal caso Alitalia in questi anni) e qui, a nostro parere, si dovrebbero compiere delle mosse decisive.

In primo luogo, perché bisogna che qualcuno dica chiaro e tondo se le istituzioni hanno intenzione di continuare a mettere cerotti a un’economia che invece avrebbe bisogno di uno straccio di progetto, visto che le capacità di risorgere le abbiamo. In poche parole, tanto per rimanere nell’attualità, risolvere la questione AZ tappando un buco per poi dire “si vedrà”, sul modello della non soluzione della questione rifiuti a Roma, sarebbe, come per questi ultimi, di un ridicolo incredibile.

Finiremmo per fare un favore ad altri Paesi e pagarne pure il conto (rifiuti Roma docet) in un momento dove gli Stati, quelli seri, fanno manovre magiche per sostenere le rispettive economie. Alitalia è ora in crisi per la semplicissima ragione che non dispone di una flotta economicamente adeguata (leggasi aerei di lungo raggio) a far ricavi: è il leitmotiv che ripetiamo da anni. Se invece di ricavare 50 si ricava 10 perché la struttura non è ben tarata, allora tanto vale mandare tutto all’aria e chiudere, cosa anche politicamente non bella, ma se invece si costruisse un piano serio, visto che di persone capaci ne abbiamo a bizzeffe, e si puntasse decisamente a sviluppare un asset favorevole non solo all’economia in generale, ma al turismo in particolare?

E allora, se si vuole ciò, perché la presenza di un vettore alleato da una parte (Delta è nell’alleanza Sky Team, la stessa di Alitalia), ma a cui il mercato italiano fa indubbiamente gola visto che è uno dei più grandi a livello europeo? Allora si inizino a fissare dei punti inderogabili di una collaborazione che deve far bene a entrambi e non, come in passato, trasformarsi in un ennesimo “cavallo di Troia” industriale per il vettore che entra in società.

Ma, per favore, si dica da subito il piano qual è, perché abbiamo per le mani un asset che può fare la differenza e che già nel 1998 la politica nostrana fece fuori per rispondere “signorsì” alle lobby europee dei vettori.

Per quanto concerne le persone, a mio modo di vedere, bisogna puntare da subito (scusate se lo ripeto ma l’urgenza è un fattore importantissimo) su personaggi che conoscano il settore e il Paese. Personalmente metterei due collaboratori del Sussidiario quali Intrieri e Arrigo, che oltretutto si occupano della faccenda da anni. Con poteri nettamente al di sopra della media (quindi pieni), visto che il progetto mirerebbe a una rinascita conveniente a tutti i partner in questione. Insomma, parafrasando D’Azeglio: “Abbiamo quasi fatto Alitalia, mo’ facciamo gli Alitaliani!”.