Credo che in questi giorni si stia vivendo un dramma nella tragedia che Alitalia mette in scena da orma più di vent’anni: secondo notizie che si danno ormai quasi per scontate, l’attesa per la formazione di un nuovo Governo diventerebbe una lotta contro il tempo per poter elargire 200 milioni di euro necessari alla sopravvivenza della ormai ex compagnia di bandiera (secondo molti), dato che le riserve a sua disposizione, in attesa della “Nuova ITA” stanno terminando e ormai non si possono più garantire nemmeno gli stipendi ai dipendenti per fine febbraio.



Si susseguono intanto manifestazioni che radunano non solo i lavoratori Alitalia, ma pure quelli di Air Italy (aanch’essa fallita) per le vie di Roma. Una Roma che per troppo tempo ha visto in scena purtroppo solo le “voglie” di un mondo politico che non solo non ha saputo affrontare degnamente una pandemia, ma che pure, in un Paese ormai sull’orlo di un crollo economico terribile, ha assistito a manfrine e a giochi di potere talmente insulsi, anche in un panorama migliore dell’attuale, da cogliere quasi come una benedizione la nomina di Mario Draghi a capo di un esecutivo che dovrà seriamente rimboccarsi le maniche. Perché basta farsi un giro per le varie città (e non solo) italiane per cogliere non tanto un malcontento quanto una rabbia che, a chi scrive, trova eguali solo nei terribili anni Settanta, in una situazione però obiettivamente peggiore.



Eh sì che l’asse, o meglio gli assi, politici che dalle elezioni del 2018 sono apparsi, con la vittoria del Movimento 5 Stelle, alfieri dell’antipolitica e creatori di una tanto attesa diversità (purtroppo mai arrivata, al punto da farci rimpiangere la Prima Repubblica), negli ultimi due Governi che hanno contraddistinto il nostro Paese, avevano promesso la soluzione della lunga telenovela dei cieli con una logica (perduta da decenni) di Sistema Paese che però non hanno mai messo in pratica, illudendo masse pecorili di lavoratori pronti a sponsorizzare sindacati complici di questo dicastero invece di continuare sulla strada maestra da loro stessi tracciata pochi anni fa votando NO a un referendum che poi segnò la fine della poco felice (per non dire tragica) esperienza di Etihad sponsorizzata da Renzi e che si è rivelata (come l’altrettanto disastrosa vicenda Piaggio Alenia) un cavallo di Troia fornito agli Emirati Arabi per raggiungere i propri interessi a danno dell’economia nazionale.



Ma tant’è, oggi il Commissario Giuseppe Leogrande deve far fronte non solo all’urgenza di quel prestito, ma pure alla letterina-diktat di una Ue che pare più, parafrasando il grande telecronista di calcio Ciotti, un “tiro telefonato” che un’improvvisa mossa. Perché fin da quando, lo scorso anno, si stava operando per riportare Alitalia a un piano industriale finalmente serio operato da due nostre “vecchie conoscenze” quali Ugo Arrigo e Gaetano Intrieri, ecco lo stop al loro lavoro perché tanto si era certi dell’arrivo di Lufthansa.

Difatti, dopo piani concreti che prevedevano l’arrivo della statunitense Delta e una continuazione nell’alleanza Skyteam che, attraverso un accordo sulle rotte Usa, avrebbe rilanciato il nostro settore aereo (e pure il turismo a esso collegato) verso una compagnia finalmente sana, ecco che i piani attuali di rimpicciolimento sia della flotta che delle maestranze, queste ultime spacchettate in tre società diverse, parlano chiaramente della nascita di un vettore ancellare ai desideri di una Germania (che invece non si sogna nemmeno lontanamente di lasciare la disastrata Lufthansa al suo destino… anzi) che si troverebbe padrona di una nazione che vanta (Covid permettendo si capisce) il secondo volume di traffico aereo in Europa. 

Ora, come molti settori dell’economia Italiana, pure questa Odissea dei cieli attende un miracolo da parte un Draghi-Messi già in odore di beatificazione ancora prima di iniziare il suo lavoro. È utile forse ripetere quanto qui scritto e augurato fino alla noia: una Alitalia finalmente al servizio del Paese in un piano di vero sviluppo (altrimenti a che servirebbero i 3 miliardi promessi, sempre che siano ancora previsti?) e con un coinvolgimento azionario dei lavoratori che, come nel lontano 1998 vissuto da chi scrive, possa porre le basi di quel cambio da estendere poi ad altri settori dell’economia in un contratto nuovo che, se applicato e guidato da persone con esperienza nei vari settori, possa permettere veramente quel Rinascimento promesso dal precedente Governo attraverso il piano guidato da Colao e poi messo da parte per tornare ai soliti giochini di potere di democristiana (ma pure socialista, ecc.) memoria?

Si può fare? Sì. Si vuole compiere? Avendo avuto la fortuna di conoscere l’attuale Primo Ministro anni fa e averne valutato le idee ascoltate direi di sì. Ai posteri l’ardua sentenza quindi, anche per evitare quello che pare ripetersi da anni proprio in Alitalia ogni qual volta si tenta di fare qualcosa di positivo: “Questo matrimonio non s’ha da fare!”. Manzoni docet, come si vede.

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