Per volare sul mercato in condizioni adeguate un vettore aereo non deve essere leggero di personale ma leggero di costi e soprattutto pesante di passeggeri e pertanto pesante di ricavi. È per queste ragioni che la nuova micro compagnia di bandiera denominata ITA non ha alcuna chance di successo. Dopo oltre vent’anni dalla completa liberalizzazione del mercato europeo del trasporto aereo continuano infatti a volarvi solo due tipi di compagnie: quelle leggere nei costi e quelle pesanti nei ricavi.
Le prime sono i vettori low cost. Il loro successo non è un segreto e dipende dalla capacità di trasportare persone con costi unitari inferiori o molto inferiori ai vettori tradizionali, potendo in conseguenza vincere la battaglia dei prezzi rispetto a essi. Due interrogativi sono generati dal loro modello di business: 1) come riescono ad abbattere così tanto i costi?; 2) perché non hanno soppiantato del tutto i vettori tradizionali, le compagnie di bandiera nazionali storicamente presenti sui cieli comunitari?
La risposta alla prima domanda è in gran parte anche la risposta alla seconda. Un vettore aereo ha essenzialmente tre macrovoci di costi: 1) la flotta, incluso il carburante per farla volare; 2) il personale; 3) i servizi esterni, principalmente aeroportuali. Le compagnie low cost risparmiano moltissimo sulla flotta, meno sui servizi esterni e qualcosa, ma non più di tanto, sul personale. Il trasporto aereo è un’industria ad alta intensità di capitale, pertanto la battaglia dei costi si vince principalmente attraverso le decisioni strategiche sulla flotta che si intende utilizzare.
Le flotte dei vettori low cost hanno quattro caratteristiche la cui congiunzione permette loro di abbattere il costo per posto chilometro offerto: 1) sono nuove; 2) sono grandi; 3) sono omogenee (un solo modello di aereo moltiplicato per centinaia di unità); 4) sono in proprietà. Il fatto che siano nuove abbatte i costi di manutenzione e i costi di esercizio, grazie ai minori consumi di carburante, mentre il fatto che siano grandi abbatte i costi di acquisto, dati gli sconti consistenti che si ottengono dai due grandi produttori mondiali di velivoli, Airbus e Boeing, quando si prenotano centinaia di aeromobili alla volta. Non è un caso che dei tanti vettori low cost sorti dopo la liberalizzazione quelli rimasti siano pochi e di grandi dimensioni.
Proviamo ora a formulare un indovinello rovesciando le caratteristiche appena esaminate: quale vettore usa una flotta vecchia, piccola, disomogenea e quasi tutta con costosissimi leasing? Alitalia, naturalmente. L’ultima Alitalia in amministrazione straordinaria, ma anche la penultima degli emiri, la terzultima dei capitani coraggiosi e la quartultima dello Stato imprenditore. Non solo, ma sembrerebbe anche la prossima, la neocostituita ITA, dato che non sembra proprio aver messo come primo punto del suo piano industriale l’acquisto di una nuova flotta.
Un vantaggio ulteriore dei vettori low cost è quello dell’utilizzo degli aerei su un numero di ore giornaliere maggiore rispetto ai vettori tradizionali, scelta che accresce la produttività degli aeromobili ed è resa possibile dal fatto che essi soddisfano principalmente una clientela turistica, disponibile a recarsi in aeroporto al mattino presto e a far rientro molto tardi la sera. Riguardo ai costi per servizi essi risparmiano principalmente utilizzando aeroporti secondari che hanno costi di utilizzo inferiori e, non essendo congestionati, garantiscono anche tempi di rotazione degli aeromobili non realizzabili negli aeroporti principali. Spesso si avvalgono inoltre di sovvenzioni degli enti locali o degli stessi aeroporti, formalmente concesse per lo sviluppo di nuove rotte, ma erogate con criteri e importi per nulla trasparenti. Questi vantaggi non sono tuttavia ripetibili negli aeroporti maggiori, nei quali i vettori di bandiera tradizionali hanno organizzato i loro hub.
Trattandosi di aeroporti principali in genere anche congestionati, se il vettore di bandiera era di grandi dimensioni ha avuto facile gioco a occupare nel tempo gli slot disponibili e a impedire che i vettori low cost concorrenti potessero prendervi piede. Anzi, tutti i grandi gruppi di vettori tradizionali si sono dotati nel tempo di un vettore low cost interno, in grado di dare una mano a contenere la competizione dei low cost concorrenti: Vueling per il gruppo IAG di British e Iberia, Transavia per AF-Klm, Eurowings per il gruppo Lufthansa. Anche in questo caso Alitalia risulta non pervenuta.
I grandi vettori di bandiera tradizionali si sono adattati alla competizione dei vettori low cost e sono riusciti a resistere con successo arroccandosi nei loro grandi hub nazionali, dai quali transita tuttavia la maggior parte dei ricavi e dei margini dell’industria del trasporto aereo. Ma anche nel loro caso le dimensioni contano e anche in questo caso Alitalia risulta non pervenuta: troppo piccola per resistere all’ondata delle low cost persino nel proprio hub di Fiumicino che oltretutto, per errate scelte del regolatore nazionale, è tra i più cari se non il più caro dei grandi aeroporti dell’Europa continentale. Alitalia è un vettore leggero nei ricavi per effetto della concorrenza e pesante nei costi a causa delle sue ridotte dimensioni, del fatto di valore con la flotta sbagliata e di dover utilizzare un aeroporto high cost per l’80% dei suoi passeggeri. Non si vedono tuttavia caratteristiche della newco ITA che lascino pensare a un ribaltamento di queste condizioni: sarà molto più piccola, e dunque regalerà milioni di passeggeri ulteriori ai vettori low cost che saranno usati contro di lei; inoltre, continuerà a volare con una flotta sbagliata e dall’aeroporto italiano peggiore dal punto di vista degli oneri aeroportuali.
La competizione di mercato è uno sport molto più duro del pugilato. Nella boxe vi sono regole precise e non è ammesso che chiunque possa lottare con chiunque: i pesi piuma combattono coi piuma, i medi coi medi e i massimi coi massimi. Sui mercati, invece, chiunque può sfidare chiunque, se si ritiene sufficientemente forte o è sufficientemente incosciente. Chi perde troppe volte esce tuttavia definitivamente dalle competizioni. Alitalia è stata per lungo tempo un peso medio e si confrontava con altri pesi medi in un ring nazionale protetto. Un quarto di secolo fa l’Unione europea ha liberalizzato i ring, permettendo agli atleti di ogni nazione di combattere anche sui mercati di altre nazioni. In conseguenza alcuni competitori sono divenuti pesi massimi attraverso processi di consolidamento e dominano ognuno in differenti Paesi. Inoltre, sono comparsi nuovi atleti, i vettori low cost, dimostrando una grande bravura nelle gare di breve raggio, pur non partecipando a quello di lungo.
Dalla liberalizzazione in avanti la strategia di Alitalia è stata una sola, quella di rimpicciolirsi. Mentre gli altri diventavano pesi massimi Alitalia ha continuato a scendere di categoria, peso leggero nel 2009 coi capitani coraggiosi e peso piuma nel 2015 con gli emiri coraggiosi. In tutto questo tempo ha continuato a prendere botte crescenti dai pesi massimi e nel 2017 è finita stabilmente al tappeto e giace da allora affidata alle cure omeopatiche dei rianimatori commissariali. Da allora sono passati quasi quattro anni e il Paese ha saputo solo tirar fuori l’idea di un’Alitalia nuova di zecca, che si chiama ITA, la cui idea strategica fondamentale è di scendere ancora di categoria: non più un’azienda piuma, che non ha funzionato, ma una molto più piccola, un’azienda paglia. Che tuttavia pensa di ritornare sul ring, una volta riaperto dopo la pandemia, e di affrontare vittoriosa gli stessi pesi massimi che già l’avevano facilmente sconfitta quando era il doppio di ora e il quadruplo di quanto vorrebbe essere in futuro.
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