Se sfogliamo un vocabolario della lingua italiana e ci mettiamo a cercare il significato della parola “sviluppo” troveremo, più o meno, frasi come questa “Accrescimento progressivo, con riferimento a organismi viventi o ad attività peculiari dell’uomo” – e si citano, come esempio – “lo sviluppo delle industrie, dei commerci, della motorizzazione”. Ossia che il concetto rimane di chiara e facile comprensione, oltre che logica. Ma la vicenda Alitalia, nella sua progressione metafisica, rivoluziona persino la lingua tanto cara a Dante e a Manzoni, stravolgendone il significato: perché ormai sono anni che si continua a parlare, citare, confermare, proclamare che la nostra ex compagnia di bandiera deve essere sviluppata, crescere, competere nei mercati internazionali e tornare a essere il simbolo nei cieli di una Nazione. Ma purtroppo nei fatti poi si realizzano solo connubi stranissimi, alleanze senza senso e operazioni da far impallidire per la loro fantasia Spielberg o Verne con la componente unica di licenziamenti del personale, piani (quando ci sono) senza alcun senso commerciale e gestioni quanto mai lontane da quello che dovrebbe essere il nucleo di ogni intervento: la cultura del settore.



Elencare la serie di errori commessi nel nome della Freccia Alata (simbolo della compagnia) occuperebbe voluminosi libri: ma il tutto si può restringere (e capire) con un concetto basico. Nel 1979 ebbi la fortuna di conoscere l’Ad di una compagnia aerea europea che, parlando del settore, mi disse una frase che da quel momento per me divenne una verità da scolpire nel marmo: “Una compagnia aerea riproduce fedelmente il Paese che rappresenta nei suoi vari momenti storici”. E difatti se analizziamo bene le vicende di Alitalia sono una riproduzione esatta di un Paese con grandissime potenzialità che però da 30 anni non è capace di esprimere una realtà industriale e politica al servizio dell’Italia: in poche parole non siamo capaci di far sistema.



Ma c’è di più: ormai non abbiamo nemmeno una logica nazionale e manco siamo capaci di campare alla giornata, anche perché abbiamo perso quella componente culturale che, abbinata a una genialità che ormai, per quanto concerne le nostre risorse, ha preso il cammino dell’emigrazione, ci permetteva spesso di risolvere anche situazioni complicate in un battibaleno.

Se non abbiamo neanche più la coerenza ideologica e, classica dimostrazione di questi ultimi tre anni, il nemico politico con cui si spergiura di non poterci nemmeno dividere un caffè oggi diventa l’alleato di domani (camuffando la cosa come una costante ma falsa apertura al dialogo) e le Camere sembrano più succursali di un asilo infantile o di un’assemblea condominiale, non ci si deve meravigliare di come la vicenda Alitalia si trasformi in una continua soluzione “in nome dello sviluppo e collegato a quello della Nazione” nel quale ormai nessuno crede più.



Adesso siamo ancor di più nell’assurdo da quando il gruppo Atlantia (facente capo all’impero Benetton) ha annunciato di non essere interessato nel coinvolgersi nell’alleanza con le FS e Delta, nonché lo Stato, per salvare Alitalia. L’hanno capito tutti, ma proprio tutti, che la manovra altro non è che una mossa per far sì che lo Stato sorvoli sul blocco della concessione alla società Autostrade dopo la tragedia di Genova. Tra l’altro Atlantia gestisce pure la società Aeroporti di Roma, sempre in concessione da parte dello Stato.

Ora, se ben lo ricordate, la squadra dei “capitani coraggiosi” di berlusconiana memoria nel 2008 aveva nel suo interno il “fior fiore” dell’imprenditoria italiana al rimorchio, storicamente, dello Stato e sappiamo poi tutti come è finita… con un altro fallimento nel quale sia il gruppo Benetton che quello legato a Carlo Toto (proprietario della fallitissima AirOne che poi si trasformò magicamente nella salvatrice di Alitalia) facevano parte. Il ripetersi della storia, che si trascina da mesi della commistione tra politica e certe realtà che di industriale hanno sempre meno e sono esclusivamente nicchie finanziarie, dovrebbe finire quanto prima se veramente si vuole creare un asset importante per l’economia del Paese come quello del trasporto aereo: ora che il Pd e i 5Stelle sono grandi alleati è tornata l’idea, tanto cara al Pd, di ritirare in ballo Lufthansa come acquirente di Alitalia, e tutti sappiamo benissimo come andrà a finire. Con un altro “sviluppo”.

D’altronde il Pd ci ha già sorpreso con l’operazione Etihad e i 5Stelle con quella che pare essere la caratteristica principale dell’antipolitica della quale si ritengono alfieri: non sapere mai dove mettere le mani e fare un giorno l’esatto contrario di quanto proclamato il giorno prima.

Il bello è che, come abbiamo già stradetto, le conoscenze per risolvere al meglio tutta la questione ci sono, ma si continua a mettere alla cloche di Alitalia chi non ha alcun brevetto di volo: così facendo il decollo tanto sospirato rimarrà sempre una chimera… cosa che altre Nazioni a noi vicine si guardano bene dal fare, cercando di sviluppare le proprie aerolinee in funzione della propria economia. Principio facilissimo e logico, che però in testa a chi decide sul nostro futuro, non solo nei cieli, non riesce proprio a entrare.