Il decreto “cura Italia” segna un punto di svolta inatteso sulla vicenda Alitalia: “In considerazione della situazione determinata sulle attività di Alitalia (…) dall’epidemia da Covid-19, è autorizzata la costituzione di una nuova società interamente controllata dal ministero dell’Economia e delle Finanze ovvero controllata da una società a prevalente partecipazione pubblica anche
indiretta.” Alitalia può tornare quindi a essere pubblica. Quale giudizio possiamo dare?



Innanzitutto, dobbiamo osservare che la vicenda è stata tirata tanto in lungo che alla fine ci è scoppiata in mano: quando, dopo anni di una strana gestione commissariale, è arrivato un commissario vero e questi ha tempestivamente fatto quello che era necessario, cioè cercare di vendere i pezzi vendibili, il trasporto aereo ha avuto il più drammatico punto di caduta della sua storia ed è stato subito chiaro che nessuno avrebbe più comprato niente. Le previsioni di mercato per il trasporto aereo sono drammatiche: non solo ora si sta vivendo una situazione inimmaginabile (a Milano è chiuso l’aeroporto di Linate e il terminal principale di Malpensa), ma questa situazione si protrarrà senza dubbio a lungo: il contagio si sta estendendo a livello planetario e, cosa ancora peggiore, lo sta facendo con tempi differenziati, per cui quando alcune aree saranno uscite dalla crisi sanitaria, altre ne staranno vivendo il picco, impedendo la ripresa della domanda di trasferimento.



Cerved stima che questa situazione produrrà una riduzione di fatturato nel settore del trasporto aereo e degli aeroporti tra il 25% (emergenza fino a maggio) al 50% (fino a dicembre). Più a lungo termine, anche se è impossibile fare previsioni, è certo che quanto avvenuto inciderà profondamente sulle scelte di spostamento: cambierà il modo di fare turismo ma, soprattutto, cambieranno gli spostamenti per lavoro. La crisi ha accelerato in modo eccezionale l’utilizzo e la diffusione di strumenti di comunicazione a distanza e quanto avvenuto segnerà un punto di non ritorno. Sono dati drammatici per un settore (aerolinee e aeroporti) a elevata intensità di capitale, che hanno quindi costi fissi non comprimibili: senza supporti esterni è difficile che queste società siano in grado
di superare la crisi con le sole loro forze.



Quello che viene messo in crisi è addirittura il concetto di “liberalizzazione del trasporto aereo”, il modello impostato in occidente che ha teorizzato l’uscita degli Stati nazionali dal settore, trasformato in “libero mercato” dove imprese private si contendono, senza aiuti di Stato, la domanda. “Teorizzato” l’uscita degli Stati, perché molti di essi hanno mantenuto importanti partecipazioni nelle compagnie aeree: è di venti giorni fa la notizia che il Governo olandese ha acquisito il 12,8% del capitale di Air France Klm, con l’intenzione di arrivare al 14% e di avere le
stesse quote dello Stato francese: una mossa tempestiva per avere lo stesso peso decisionale su tagli che saranno drastici e inevitabili?

In questo contesto la scelta italiana, che fino a poche settimane fa sarebbe stata in assoluta controtendenza sarà, invece, molto probabilmente affiancata da operazioni simili dei maggiori Stati
nazionali, perché l’Unione europea è del tutto impreparata a sviluppare un’azione comune su un tema tanto divisivo. Con tutta probabilità torneremo indietro di venti anni, con le
“compagnie di bandiera” e gli aeroporti pubblici; nel breve periodo, poi, e non solo in Italia, ci sarà la necessità di garantire collegamenti essenziali, che la ridotta domanda renderà non remunerativi e che quindi rischiano di non essere effettuati.

Paradossalmente, abbiamo un vantaggio in questo “replay”: possiamo cercare di non commettere i molti errori che abbiamo, invece, commesso. Il primo errore da non commettere è discriminare tra i
lavoratori: la crisi lascerà molti senza lavoro e a tutti dovrà essere dato, per quanto possibile, un aiuto. I lavoratori di Alitalia non hanno diritto a un trattamento di favore: la riduzione delle dimensioni è urgente e dovrà essere affrontata con le regole che valgono per tutti. La crisi aprirà anche nuove opportunità: diminuirà la domanda, ma diminuirà anche, inevitabilmente, la concorrenza; si potranno ridiscutere i canoni di leasing degli aerei e ci saranno opportunità di acquisto a più basso prezzo; il prezzo del petrolio rimarrà basso per molto tempo e chi deve volare lo farà per necessità e si dovrà abituare a pagare prezzi più alti.

L’errore più grave che dobbiamo evitare è però uno: la politica non pensi ai voti dei dipendenti del
settore e non intervenga in scelte gestionali difficili, dolorose ma inevitabili.

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