Da anni, nel corso delle innumerevoli fasi della telenovela Alitalia, un dato abbastanza inspiegabile è la reticenza dei media nell’ascoltare chi nell’ex gloriosa “compagnia di bandiera” ci lavora, quasi come se i dipendenti fossero una mera componente senza importanza. Ricordo ancora come nel 2009, quando dopo ricerche e indagini si scoprivano dati e faccende che gettavano nuova luce sul crac di quell’anno, e che però risultavano scomode ai politici di turno, e si tentavano di far conoscere alla stampa, quasi in automatico scattava lo stop all’intervista. Di esempi da citare ne avrei a bizzeffe, ma credo che ora l’importante sia dare giusta voce anche ai lavoratori: per questo mi sono rivolto a tre attuali dipendenti (che per ragioni di regole aziendali ancora in vigore preferiscono mantenere l’anonimato) di spiegarci il loro punto di vista sull’impasse attuale. Roberto, Donatella e Angelo (sono nomi di fantasia) appartengono sia al personale di terra che di volo, fornendoci quindi un quadro più omogeneo della popolazione lavorativa di Alitalia.



Nel corso dei decenni si può ben dire che su Alitalia siano state elaborate una quantità industriale di proposte, da parte della politica, spesso condivise con entusiasmo pure dai lavoratori. Purtroppo, anche quando le stesse si sono realizzate, non hanno avuto un esito molto positivo. Qual è lo stato d’animo attuale dei dipendenti dopo che l’ipotesi di uma statalizzazione completa di Alitalia si sta trasformando in un’illusione vista l’opposizione Ue al finanziamento di 3 miliardi di euro da parte dello Stato?



Donatella: Lo stato d’animo è di disillusione e rabbia. Dopo le due esperienze fallimentari della privatizzazione, la prima quella dei cosiddetti “capitani coraggiosi” e la seconda quella del gruppo Etihad, abbiamo creduto nella statalizzazione. Speravamo che lo Stato e i cittadini italiani comprendessero l’importanza nazionale di un asset strategico come quello del trasporto aereo in un Paese che detiene l’80% del patrimonio artistico e culturale dell’intero pianeta e l’importanza di una compagnia di bandiera soprattutto in momenti di crisi come quello della pandemia, dove moltissimi cittadini italiani sono stati abbandonati dalle  compagnie aeree nelle più svariate parti del mondo. Ricordiamo inoltre che la statalizzazione era uno dei punti programmatici del Movimento 5 stelle. Ci piacerebbe che il Governo italiano si comportasse con l’Alitalia così come il Presidente francese Macron ha fatto con la Stx. Purtroppo, però, la forza politica dell’Italia in Europa non sembra esser pari a quella francese.



Nel 1998 l’allora AD Cempella aprì l’azionariato ai dipendenti, ma l’iniziativa non ebbe successo. Anche ora si è ventilata una partecipazione più diretta dei dipendenti nella compagnia: come pensate possa essere messa in pratica?

Angelo: Nel 2008 c’erano le condizioni per coinvolgere davvero i dipendenti in una forma di azionariato e vederli partecipi in modo attivo in un progetto che sentissero proprio. Oggi le condizioni sono cambiate. Nel 2008 due decine di migliaia di dipendenti avevano milioni di euro depositati in azienda sotto forma di Tfr accantonati e sarebbero stati disponibili a “commutarli” in quote della nuova compagnia. Oggi i pochi risparmi degli 11.500 dipendenti rimasti sono amministrati dai Fondi integrativi Fondaereo e Prevaer (che da anni danno buoni risultati finanziari) e sono l’unica garanzia che ha un lavoratore per non andare in pensione con 700 euro mensili, a seguito degli interventi di decontribuzione che le buste paga hanno subito negli anni per alleggerire il costo del lavoro per la compagnia. Difficile quindi convincere un lavoratore a investire in maniere rischiosa le poche garanzie che si sta costruendo per il proprio futuro. Mancano le condizioni.

Finora abbiamo assistito a un silenzio molto educato dei lavoratori Alitalia rispetto a quello combattivo di colleghi di altre compagnie in situazioni simili. Cosa pensate possano fare i dipendenti per vedere di cambiare l’attuale situazione di estrema incertezza?

Roberto: Se nel 2008, nel 2014 e nel 2017, tappe storiche importanti per la compagnia che per tre  volte ha dovuto dichiarare insolvenza, i lavoratori si son mossi con azioni di protesta, persuasione verso Governo e sindacati, ed esposizione mediatica alla ricerca di solidarietà, oggi il continuo ripetersi della storia ha tolto un po’ di animo ai più. Peraltro, il continuo inseguirsi di teorie e congetture (sempre bocciate e smentite dagli stessi che le avevano lanciate) su possibili soluzioni di rilancio per Alitalia a cui abbiamo assistito negli ultimi due anni da parte dei nostri governanti, ha contribuito a creare una sorta di “vuoto ideologico” negli stessi dipendenti. La nazionalizzazione di cui sopra è l’unica strada per non finire nuovamente nelle mani di speculatori e squali della finanza che poco hanno avuto in comune in questi anni con la “causa Alitalia”. Serve un progetto che coinvolga tutti a fare bene. Dagli alti dirigenti, ai quadri aziendali, alla manutenzione, all’handling, ai naviganti. Tutti devono remare nella stessa direzione consci che questa potrebbe davvero essere l’ultima occasione per riscattarsi e rilanciarsi professionalmente, dando per la prima volta all’Alitalia il futuro che merita dopo più di vent’anni nel quale uno dei fiori all’occhiello del nostro Paese è stato invece trattato da chi lo ha gestito al pari di una bomba pronta a esplodere nelle mani alla prima disattenzione.