Lufthansa sì, Lufthansa no, Atlantia sì, Atlantia no: pare il ritornello di una famosa canzone di Elio e le storie tese, invece il concetto racchiude l’ennesima margherita sfogliata da un potere politico che dimostra di non avere la più pallida idea di cosa voglia dire un’industria al servizio del Paese. Tutto ruota attorno al ruolo di Atlantia, la società legata ai Benetton, che a quanto pare sarà l’ago della bilancia dell’intera questione.
Il fatto che questa società abbia pesanti responsabilità nella deficitaria (per il Paese, si capisce) gestione di Autostrade pare una questione di scarsa importanza, visto che il secondo Governo camaleontico della storia della nostra Repubblica a parole smentisce un intervento della società veneta, ma nei fatti si assiste a un tira e molla tale da rendere inutile pure farsi dei dubbi sulla questione.
Ma non è solo la presenza di Atlantia a costituire un problema, bensì anche quella del vettore statunitense Delta, che con il suo eventuale 10% pretende di voler dirigere l’orchestra. Cambiare tutto perché nulla cambi: la gattopardesca frase di Tomasi di Lampedusa, già citata da anni nei miei articoli, torna a far luce su di una operazione che pretende di curare un malato grave con cerotti, costituiti da sovvenzioni, e con piani che continuano a essere partoriti da “esperti” dell’ultimo minuto che stanno tentando di costruire l’ennesimo aereo di carta che dal 1998 non riesce proprio a decollare… e minaccia di non farlo mai.
Tra pochi giorni scadrà il termine “ultimo” (lo è da anni… sic!) e da lì, come hanno promesso gli alti vertici governativi, si saprà qualcosa di concreto sulla fine di Alitalia: in molti però credono che anche questa fatidica data segnerà un’ennesima ricapitolazione in grado di posporre la soluzione del metafisico evento. Chiarito che il concetto di compagnia di bandiera è ormai più teorico che pratico, dato che gli Stati hanno nelle aerolinee partecipazioni sempre più insignificanti (anche se le stesse vengono difese dalle ingerenze straniere come “settori nevralgici e importanti per il Paese”), e anche sorvolando (sic…) sulla presenza di Atlantia, non si capisce bene il ruolo di Delta nell’intero affare se non come l’ennesimo vettore che voglia nel tempo non solo essere un sospettoso “partner”, ma sopratutto alla fine trasformare Alitalia nel suo cavallo di Troia per aumentare gli slot sulle tratte nordamericane (sottraendole alla compagnia).
Ora, se è chiaro che chi interviene in una società debba averne i suoi vantaggi, visto che l’economia non è un ente di beneficenza (tranne lo Stato italiano proprio con Alitalia) sarebbe il caso di rendere noto non solo il piano industriale facendolo anche giudicare da una Commissione di esperti (che, lo ripetiamo, in Italia non mancano) visto che lo Stato è partner dell’operazione, ma anche di mettere ben in chiaro le regole ai vari partner che compongono la società. In modo di porre chiarezza in questa storia infinita che sta attirando sull’Italia l’ironia del mondo intero.
E su Lufthansa è lecito porsi dei dubbi proprio per la chiarezza con cui ha esposto le proprie tesi: se entra in Alitalia la trasformerà in una piccola ancella del proprio gruppo, con una montagna di esuberi. Ipotesi poco probabile anche perché, solo per far uscire Alitalia dall’alleanza SkyTeam di cui fa parte (con Delta d’altronde) per includerla nella propria Star Alliance occorrono 290 milioni di euro per pagare la penale…