Il salvataggio di Alitalia si è complicato dopo la lettera con cui Atlantia ha manifestato la propria perplessità per il piano di salvataggio mettendo in forse la propria partecipazione all’aumento di capitale. Questa settimana le conferme del primo ministro sul processo per la “caducazione” della concessione ad Autostrade per l’Italia hanno fatto sprofondare il titolo. Atlantia, comprensibilmente, non vuole perdere altri soldi, oltre a quelli derivanti da una revoca della concessione. Se la cancellazione della concessione e l’operazione di Alitalia viaggiano su due binari paralleli, allora per Atlantia non c’è più nessuna ragione per investire in un progetto, il salvataggio di Alitalia, che pare rischiosissimo e molto difficilmente destinato al successo. Potremmo anche dirci certi delle responsabilità di Autostrade per l’Italia sulla cattiva manutenzione del ponte Morandi, ma, a maggior ragione, non ci sarebbe alcun interesse a perdere altri soldi con Alitalia.



La vicenda Alitalia-Atlantia nasconde due questioni diverse che bisogna individuare chiaramente e separatamente. La prima è se l’ennesimo salvataggio di Alitalia abbia i presupposti per poter aspirare al successo. La risposta sembra già oggi negativa. Ad Alitalia serve una guida imprenditoriale o azionaria che si faccia carico di un rilancio che non può avvenire ed essere misurato con i “trimestri” e serve soprattutto che possa competere nel mercato dei voli tra Stati Uniti ed Europa senza i quali nessuna compagnia europea, nemmeno quella di un paradiso del turismo come il nostro, può pensare di avere successo.



Sappiamo dai giornali che Atlantia reputa il ruolo di Alitalia nell’alleanza troppo “sacrificato”, soprattutto in certe rotte che gli alleati comprensibilmente non vogliono mollare. Questo è il peccato originale e la costante di tutti i problemi che ha avuto Alitalia negli ultimi due decenni. Non si possono fare soldi in un settore complicatissimo come quello del trasporto aereo senza le rotte verso gli Stati Uniti che sono ancora oggi il mercato più ricco al mondo. Servirebbe anche un azionista con le tasche abbastanza profonde e le capacità manageriali per farsi carico di un rilancio vero. L’operazione del Governo italiano non sembra avere nessuna delle caratteristiche necessarie. Un gruppo di azionisti eterogeneo e non particolarmente convinto, senza competenze manageriali forti, che fa fatica persino per il capitale iniziale e limitatissimo nella competizione sulle rotte ricche. Atlantia ha ragione da vendere, nonostante sia l’unica ad avere un interesse economico vero dato che possiede gli Aeroporti di Roma.



La seconda questione è il prezzo che paga il sistema Paese con una guerra tra Governo e il principale concessionario autostradale che dura ormai da più di un anno e di cui non si vede la conclusione. In questa situazione tutto è fermo e bloccato dall’incertezza. Ripetere che bisogna aspettare i “tempi della giustizia” è formalmente correttissimo, ma devastante dal punto di vista economico. Non si capisce se dovremmo o potremmo accettare di rimanere in questo limbo fatto di dichiarazioni quotidiane per anni; con gli investitori che non sanno cosa pensare, un operatore privato che non tocca più niente e un Governo in attesa. La soluzione non può che essere politica, ma servono due soggetti per trattare. Ci sembra che il soggetto che manca sia quello “politico” che non può firmare un accordo per paura di essere considerato un traditore del popolo e non può “espropriare” e finire in un ginepraio legale incredibile, in un Paese che, tra l’altro, ha reso imprescrivibile il danno erariale. È la politica che deve prendere una decisione quale che sia. Aspettare anni è l’opzione peggiore.

È chiaro che il Governo non possa chiudere una partita che ha preso una piega bruttissima con le intercettazioni uscite sui giornali per una cifra modesta investita in Alitalia. Potrebbe chiudere la partita se Atlantia si facesse carico economicamente e imprenditorialmente con un ruolo da protagonista del salvataggio di Alitalia?