Non è facile per nulla oggigiorno esibire e teorizzare previsioni sul trasporto aereo, che certamente risulta essere uno dei settori maggiormente colpito dalla pandemia. Impossibile prevedere se e quando il mercato del trasporto aereo potrà riprendere la crescita che ha caratterizzato quest’ultimo decennio e soprattutto è impossibile determinare un qualche processo di segmentazione del mercato che possa basarsi su assunti credibili.



Non essendo possibile alcuna previsione realistica sul futuro ecco che le compagnie più virtuose oggi lavorano sul presente, cercando di ripensare interamente alla catena del valore che caratterizza questo settore e anzi cercando di coinvolgere in questo processo di riassetto quanto più possibile gli attori a monte della value chain non potendo prevedere il comportamento degli attori a valle che poi altro non sono che i clienti finali, ovvero i passeggeri.



È evidente che i due attori più importanti a monte della catena del valore nel trasporto aereo sono da considerarsi i costruttori di aerei, i maintenance provider e i lessor di aeroplani. Oggigiorno, l’obbiettivo delle compagnie virtuose è quello di creare un modello di disruption che consenta di ripensare integralmente al rapporto tra questi fondamentali stakeholder e le aerolinee. Ma, a sua volta, perché tutto ciò possa realizzarsi, le aerolinee necessitano anche di ripensare integralmente e agire sul proprio work design. L’efficienza e la standardizzazione dei processi diverranno fattori sempre più critici se si vorranno perseguire risultati reddituali positivi.



Il concetto tanto caro a Herb Kelleher, secondo cui il trasporto aereo è un modello di business che non permette l’ausilio delle rimanenze finali e quindi ogni posto vuoto di un aeromobile in partenza in realtà è di fatto un fattore che determina i cosiddetti “sunk cost”, oggi va più che mai tenuto in considerazione, perché credo che proprio dal rapporto tra questi costi irrecuperabili e la resilienza dei costi fissi si costruirà l’aviazione che verrà.

Ed ecco allora che ripensare al work design di un’aerolinea vuol dire calcolare tutte le possibili derivate determinate dall’intersezione di questi due fattori critici e quindi vuol dire definire una struttura organizzativa coerente con un mercato assolutamente imprevedibile. Southwest e Delta sono già al lavoro e non è un caso che proprio le due aerolinee con la maggior capitalizzazione di borsa nel mondo siano in prima linea nel modellare questa ormai inevitabile disruption. In Europa, l’unica aerolinea che può contare su un’adeguata capitalizzazione, ovvero Ryanair è alle prese con i soliti problemi legati alla dimensione sociale originati dal fatto che un manager capace come pochi non riesce e ripartire in modo più equo l’enorme valore che è riuscito a creare con la sua opera manageriale. Per il resto, l’Europa e il Sud America vivono la stessa drammatica situazione di sistema con aziende ormai totalmente sottocapitalizzate rispetto ai colossi americani che cercano tra sussidi e taglio delle risorse umane di fare fronte a una crisi senza precedenti.

Non credo che tagliare strenuamente le risorse umane sia la soluzione, o per meglio dire, come insegna il papà del work design Nelson Repenning, occorrerebbe forse saperle impiegare meglio, ovvero renderle coerenti al progetto di reingegnerizzazione propedeutica alla disruption del settore. Intanto, a mio avviso, occorrerà internalizzare quanto più possibile i processi operativi poiché inevitabilmente alcuni player della catena del valore usciranno di scena o comunque la situazione contingente ne ridurrà di molto la soglia dimensionale e questo sarà il vero problema che affliggerà le cosiddette aerolinee modello low cost, che hanno negli anni lavorato nell’espandere sempre più a monte la supply chain proprio per comprimere quanto più possibile la resilienza dei costi fissi che invece ha attanagliato i cosiddetti vettori tradizionali (Legacy-Carrier).

A mio avviso anche a valle si accorcerà la catena di intermediari che va dall’aerolinea al passeggero, ovvero non credo che ci sarà spazio per tour operator di grosse dimensioni, ma piuttosto quelli che riusciranno a rimanere in piedi svolgeranno per lo più la funzione di “ottimizzatori” ovvero acquisteranno solo il cosiddetto “block space” ovvero un numero di posti all’interno di un aeromobile e non più un intero volo charter. E non è un caso che già da ora si vedono alcune aerolinee che sono essenzialmente specializzate nel segmento charter o in quello dei capacity provider iniziare a pensare e a programmare il loro ingresso nel settore di voli di linea in alcuni casi anche per poter speculare sulla prevendita dei biglietti, riuscendo in tal modo a dotarsi di un minimo di cassa in advance per far fronte alla tremenda crisi di liquidità che sta interessando il 90% delle compagnie aeree nel mondo.

In questo scenario assisteremo alla sopravvivenza di due differenti soglie dimensionali all’interno del panorama delle Legacies: vi saranno infatti la cosiddette major americane che approfitteranno del periodo post Covid per rinnovare la propria flotta aumentando in proporzione la capacità sul corto-medio raggio, vi saranno le major europee che a causa della loro debole struttura patrimoniale, da un lato diminuiranno la loro capacità e dall’altro cercheranno sempre più di aggregare attorno a loro il mercato europeo in quella che sarà un battaglia senza esclusioni di colpi per accaparrarsi ogni qualsivoglia passeggero verso il proprio hub e infine vi saranno i vettori di piccole dimensioni ovvero con flotte sino a 50 macchine che potranno contare su una più facile dinamicità nel far fronte all’estemporaneità che caratterizzerà il mercato del prossimo quinquennio.

Non credo che ci sarà spazio per ulteriori player: aerolinee come Tap, sgretolatasi a seguito della pandemia, sono in realtà l’esempio che più di ogni altro definisce che l’errata gestione della struttura dei costi solo temporaneamente può essere coperta da alchimie finanziarie. Quest’ultime sono funzionali solo se sorrette dai flussi di cassa e, malgrado un buon storico catchment di mercato su rotte che consentono un rapporto ciclo ora volo molto favorevole, per l’aerolinea portoghese è bastato che il flusso si interrompesse per ritrovarsi velocemente in una situazione molto simile a quella di Alitalia. E non è un caso che la sequenzialità di processo tra le due aerolinee sia molto simile e quindi totalmente inadatta rispetto al livello di efficienza ed efficacia minima richiesto oggi a un player del trasporto aereo.

Entrambe le aerolinee, inoltre, hanno una soglia dimensionale di flotta non coerente con una logica reddituale e se certamente la flotta dei portoghesi è più omogenea e razionale rispetto a quella di Alitalia, la stessa non riesce in alcun modo a essere gestita secondo criteri efficienti anche a causa di processi manutentivi spesso ridondanti, inefficienti e molto costosi.

Per quanto invece riguarda il settore Low Cost, a mio parere assisteremo all’uscita dal mercato di molti degli attuali player, soprattutto quelli con un modello di business improponibile nell’attuale scenario come Norwegian. Questo rafforzerà ancora di più coloro che sapranno resistere ai duri anni che ci attendono. Personalmente credo che le due più efficienti ed efficaci aerolinee europee, ovvero Ryanair e Wizzair, incrementeranno la loro quota di mercato perché potranno contare su un vantaggio competitivo sostenibile nel tempo, dovuto a un livello di standardizzazione dei processi e a modelli di controllo di gestione assolutamente molto più avanzati rispetto a quello degli altri concorrenti.

Tornando ai vettori tradizionali, se da un lato Air France potrà contare sull’incondizionato e storico apporto di Delta, dall’altro Lufthansa dovrà tornare agli insegnamenti di Wolfgang Mayrhuber, vero mentore del gruppo tedesco nell’ultimo trentennio, ovvero trovare un management che rimetta al centro delle proprie strategie i processi e non anche in questo caso le alchimie finanziarie sgretolatisi come l’argilla nel momento in cui la pandemia ha azzerato l’apporto dei flussi di cassa garantiti dalla soglia dimensionale del gruppo. Lufthansa possiede ancora oggi un vero gioiello di produttività e organizzazione che si chiama Lufthansa Technik e, considerando l’indubbia professionalità della seconda linea di manager, ripensare l’aerolinea su quel modello allineando i processi e ricollocando le enormi resilienze dei costi fissi sarà la vera sfida che attenderà il management teutonico che dovrà per forza liberarsi di parecchie zavorre che appesantiscono non poco il bilancio consolidato della capogruppo.

Infine, il gruppo IAG ovvero essenzialmente British Airways Iberia e Vueling , dopo la transizione del fondatore e Ceo del gruppo Willie Walsh prevista per il prossimo settembre, probabilmente dovrà anch’esso trovare una propria dimensione e soprattutto definire l’utilità e il ruolo di Vueling in uno scenario che per la Low Cost spagnola attanagliata da non pochi problemi gestionali dopo l’uscita di scena del suo fondatore Alex Cruz passato a dirigere British Airways, si preannuncia essere non poco complicato.

Infine, un’ultima riflessione sullo scenario del trasporto aereo di casa nostra, dove allo stato si vive in una dimensione irreale fatta di annunci, rassicurazioni e teorie che aleggiano a distanze siderali dalla realtà dello scenario macro del trasporto aereo. Si tenta infatti di aggirare decine di regolamenti e direttive europee per dar vita a una nuova Alitalia che dovrebbe per incanto ripartire da zero per la terza volta in poco più di 10 anni e si spendono ulteriori soldi dei contribuenti per pagare più o meno sempre gli stessi consulenti totalmente avulsi dal settore al fine di redigere fantomatici piani industriali che stante la situazione attuale del trasporto aereo non potrebbero assolutamente neanche per sbaglio essere credibili. Ma tant’è che se venne reputato credibile quello redatto da Ferrovie dello Stato circa un anno fa allora qualsiasi documento PowerPoint può essere definito piano industriale di un’aerolinea.

In Italia magari può anche funzionare, dubito che funzioni presso la Commissione europea dove lo scenario attuale, a mio modesto avviso, non consentirà di fare sconti a nessuno. Peccato, poiché per un’aerolinea in perenne crisi come Alitalia, gli effetti della pandemia avrebbero potuto essere paradossalmente una buona occasione per fare le cose seriamente, ovvero rispettando le condizioni di mercato dettate dai regolamenti europei proprio approfittando della situazione di amministrazione straordinaria che consente ai gestori di potersi avvalere di poteri non paragonabili a quelli di un amministratore ordinario in tema di ristrutturazione dell’impresa. Tra poco, si sveglieranno dal mondo dei sogni e degli annunci e dovranno fare i conti con la dura legge dell’economia e del mercato.

Nel frattempo, nello stesso decreto rilancio che prevede la costituzione della newco Alitalia, vengono previste sovvenzioni a fondo perduto alle altre aerolinee italiane minori senza che il decreto stesso venga a essere incardinato anche in questo caso nelle norme previste dal “Temporary Framework” emanato dalla Commissione Ue e non è un caso che gli esperti del Mit si chiedano da che parte iniziare per dar corso ai decreti attuativi, visto che di attuabile c’è ben poco considerando che anche in questo caso si dovrà fare i conti con il tema degli aiuti di Stato. Ma non importa, quel che conta in questo Paese ormai non è tanto il fare, piuttosto il comunicare, tanto l’obiettivo vero è solo quello di “tirare a campare” quanto più possibile. In tutti i sensi.