Credo che se Spielberg potesse essere edotto sulla storia degli ultimi anni di Alitalia dichiarerebbe che la realtà supera la fantasia, ma sotto sotto ci farebbe un paio di pellicole… il grande Hitchcock, potesse tornare tra noi, un thrilling da paura e l’altrettanto grande Conan Doyle, scrivendone un caso per Sherlock Holmes, farebbe pronunciare, modificandola, la storica frase in “Complicatino, Watson!”.



Ci mancava solo il coronavirus a rendere ancora più “eccitante” il caso. Diciamo la verità, se ne poteva fare abbondantemente a meno in un Paese che già ci mette del suo, per lo meno a livello istituzionale, per farsi del male, ma ora abbiamo veramente superato tutti nel brancaleonesco maneggio dell’informazione sul virus, la cui gestione assolutamente anarchica non solo ha peggiorato la situazione, portandoci a un livello di panico mai visto nella nostra cara penisola, ma ci ha per fortuna portati a un punto di non ritorno in cui la politica dovrà finalmente finirla di “scherzare”, anche perché il rischio di un’epidemia di perdite di poltrone (il famoso “poltronavirus”), che al momento non ha registrato nessun caso, rischierebbe di colpire il Bel Paese, questa volta con epicentro assicurato a Roma. Con buona pace dei milanesi…



L’altro giorno, intervistato da diversi media latinoamericani, sostenevo che la vita mi ha insegnato come l’Italia si svegli solo quando è sul punto di fare la fine del Titanic, ossia quando si trova in condizioni estreme.

Mi pare lapalissiano considerare l’attuale situazione come un punto di non ritorno, dove, pur nella gravità (a parer mio un po’ esagerata, ma non sono l’infettologo di turno) rappresentata da questa epidemia (che con il trascorrere delle ore pare esserci arrivata dalla Germania, Monaco di Baviera per l’esattezza) si sta rivelando la cartina tornasole di un fatto che tutti (ma proprio tutti) hanno capito da mo’, tranne i soliti noti: il turismo è un pilastro importantissimo della nostra economia. E allora forse siamo arrivati al famoso punto di non ritorno citato poc’anzi: qui si fa Alitalia o ce la vedremo veramente brutta (non voglio parafrasare un famoso detto storico).



Curiosamente (e qui Machiavelli scoppierebbe dalle risate) è stato lanciato il bando di concorso per la vendita della compagnia in toto (t rigorosamente minuscola per favore!) o a pezzi… Chi lo vince se la porterebbe via per 400 milioni… un regalo (come abbondantemente predetto). Ma qui sorge un punto Hitchcock: è chiaro che tentare piazzare una compagnia aerea in questo momento è come pretendere di vendere un’auto distrutta da un carro armato come nuova e poi colpisce la durata del bando. Due settimane.. .ma scherziamo o no? Proprio nel momento in cui l’intero mercato aereo versa in una crisi peggiore di quella dell’11 settembre, con, ad esempio, una Lufthansa che mette a terra centinaia di aerei e rischia grosso (così come altri vettori) salta fuori questa offerta. Qui le ipotesi sono due: o si tratta di un “tiro telefonato” (grande Ciotti!) per concludere la vicenda alla tedesca, facendo un grossissimo regalo alla Germania (cosa prevista da molti) oppure siamo di fronte a un’operazione di pura facciata, visto che in un momento come questo Alitalia non se la filerebbe nessuno (come accade da anni, nonostante le balle spaziali governative) e alla fine si porterebbe a termine quella nazionalizzazione che molti esperti vedono come unica soluzione (sempre che sia attuata con intelligenza, ma, come dimostra ancora una volta il coronavirus, i cervelli nel nostro Paese abbondano, come ampiamente dimostrato dalle nostre eccellenze mediche che stanno affrontando la situazione con professionalità e dedizione).

Aspettiamo fiduciosi quindi. Due settimane sono un tempo velocissimo dopo i decenni trascorsi a tentare di distruggere quello che rimane ,nonostante tutte le critiche, un orgoglio nazionale di un Paese in cui il coronavirus ha istillato nella gente quello della resurrezione con l’impegno di tutti noi.