Dove eravamo rimasti? Scrivevamo a dicembre: “Ancora una volta sembra andare in scena una commedia degli equivoci, dove gli attori si muovono ciascuno secondo una propria interpretazione della realtà, del tutto opposta a quella degli altri”. Appunto: sembra. Abbiamo, infatti, personaggi di prim’ordine sia nella Alitalia in amministrazione straordinaria, sia in ITA, Italia Trasporto Aereo: impossibile che non si capiscano. Se la commedia va avanti, è perché non ci sono le condizioni per affrontare una realtà che è evidente a tutti.
Permettiamoci un’estrema semplificazione. Da un lato c’è una società, Alitalia, che da tempo perde molti soldi e ha la cassa quasi vuota, al punto da avere il dubbio di non riuscire a pagare questo mese gli stipendi. Dall’altro c’è una nuova società, ITA, con tanti soldi freschi a disposizione, costituita con la missione di servire il trasporto aereo da e per l’Italia, guadagnando. Dov’è il problema? Il problema è che molti si aspettano semplicemente di poter “versare” il contenuto della prima nella seconda, così che ci siano soldi (tre miliardi) per coprire le future perdite e spostare un po’ in là il momento della verità. (Per inciso in questo modo i creditori di Alitalia perderebbero i propri soldi, ma non ha molta importanza, visto che i creditori siamo tutti noi, perché i soldi glieli ha prestati lo Stato).
Chi si oppone a questo “travaso”? Visto che non abbiamo il coraggio di opporci noi, lo lasciamo fare all’Unione europea: come prevedono le norme, il 21 dicembre il Governo ha inviato alla Direzione Generale della Concorrenza della CE il piano industriale di ITA: come ricorderete, il piano industriale deve dimostrare che l’attività intrapresa sia profittevole, unico modo per cui i tre miliardi siano un investimento e non un sussidio. L’8 gennaio la Commissione europea risponde con una lettera contenente 123 domande (neanche le vacanze si fanno questi!). Il 21 gennaio il Governo italiano risponde, dando ampie garanzie sul fatto che non ci sarà nessun travaso automatico tra le due società e che ITA cercherà sul mercato ciò che le serve per realizzare il suo piano industriale.
È in questa logica che, infatti, ITA si muove: dichiara di voler arrivare al 2025 con una redditività del 10%; che intende comperarsi da Alitalia solo gli asset che servono (chiede infatti di poter acquisire il solo ramo “aviation”) e che conta di assumere 5.200-5.500 dipendenti “dal mercato”, chiarendo che, se arriveranno da Alitalia, ciò non avverrà attraverso un trasferimento diretto, ma stipulando con loro un nuovo contratto, senza dubbio meno favorevole di quello precedente. Oggi i dipendenti di Alitalia sono circa il doppio e si comprendono le resistenze del Commissario Straordinario: se vende la parte che ha valore, rimane con metà degli addetti (almeno) e con strutture che nessuno vuole; il classico “cerino in mano”.
Cosa fare allora? Forse la cosa migliore è che ciascuno interpreti per davvero la “parte” che gli è stata assegnata. La nuova società faccia una vera offerta per la parte buona di Alitalia, con un prezzo che sia il più alto possibile ma che sia comunque redditizio: sarà il miglior modo, tra l’altro, per costringere anche altri interessati, Ryanair in primis, a fare una vera offerta, così che Alitalia non sia costretta a svendere ciò che ancora di buono è rimasto. Il commissario liquidatore faccia poi quello che deve: liquidi la parte che non riesce a vendere.
Circola in rete un breve spezzone del discorso che Mario Draghi ha pronunciato a Milano, in Università Cattolica, quando gli hanno conferito la laurea honoris causa: il tema trattato è “come si fa a decidere”. Con poche e chiare parole, Draghi dice che ci sono tre condizioni. 1) Occorre conoscere: di questa vicenda si conosce ormai tutto e le uniche incertezze riguardano il futuro del trasporto aereo mondiale e non sono incertezze che possono far sperare in uno scenario migliore. 2) Ci vuole poi coraggio: qui di coraggio ce ne vuole davvero tanto, pensando ai 10.400 dipendenti e alle loro famiglie. Dopo la pandemia, non saranno però gli unici a dover affrontare un profondo cambiamento professionale e a loro, come a tutti gli altri, dovranno essere dedicate energie e fondi per un reinserimento positivo nel mondo del lavoro. 3) Ci vuole infine umiltà, dice ancora Draghi: forse questa è la virtù che è più mancata fino a oggi; l’umiltà di ammettere che la crisi di Alitalia non sappiamo risolverla e che è meglio fermare a terra questa società prima che si schianti: solo con coraggio e umiltà sarà possibile dire la verità e costruire un futuro diverso per le migliaia di addetti che meritano tutta la nostra solidarietà e il nostro supporto.
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