Il cambio di Governo non è stato quello che in molti speravano e che fino a poche ore prima era dato per sicuro da molti osservatori: da una prevista squadra di tecnici con solo 3 o 4 politici si è arrivati a un mix che vede sì tecnici detenere nella pratica i Ministeri che dovranno decidere come spendere i soldi del Recovery Fund, ma si nota anche la presenza di persone che non si sono rivelate capaci di espletare il loro dovere in importanti dicasteri, nella continuità di una classe politica che ci ha fatto abbondantemente rimpiangere i dinosauri della Prima Repubblica.
Tra i compiti più incipienti di questo equipaggio di una nave che deve essere guidata in una tempesta di importanza mondiale da un gruppo composto da pochi marinai e tanti alpini (senza disconoscere gli immensi meriti di questo Corpo) c’è quello di decidere una volta per tutte il destino finale di una Alitalia che gli ultimi annunci danno ormai, soprattutto a detta di molti condor mediatici, campioni di pessimismo cosmico senza sapere cosa sia un aereo, al punto finale.
Le nostre opinioni sull’argomento sono conosciutissime, ma ora siamo davvero a un bivio importante: Draghi dovrà occuparsi di questo dossier entro la prossima settimana e decidere una buona volta che fare. Dubito che il già santificato Primo ministro, dall’alto della sua esperienza e soprattutto della sua influenza a livello mondiale compia dei passi per distruggere o svendere elementi cardine della nostra economia. Sarebbe un po’ come affermare che il nostro Paese, eccellenza turistica oltre che economica, non ha bisogno di un vettore aereo per far decollare la propria economia: e questo solo perché dal 1999 a oggi le redini della nostra ex compagnia di bandiera sono state manovrate da incompetenti, oltretutto condannati in alcuni casi.
Di certo Draghi comprenderà una cosa importantissima: che se l’Italia vuole avere un Rinascimento degno di questo nome dovrà puntare a rompere definitivamente la relazione pessima di una politica che non è capace di costruire un Sistema Paese perché chiusa in un orbita di Saturno lontana anni luce dalla nazione che oltretutto la mantiene.
Ma qui ci sono da considerare le letterine e i diktat di una Ue che vorrebbe imporre la sua volontà e far sì che il nostro Paese continui a essere il supermercato in cui ci sono nazioni che fanno letteralmente spesa. Nazioni che poi, viste e analizzate, hanno molte cose in comune con il nostro ma praticano lo sport della “doppia morale” arrivando ogni tanto a impartirci lezioncine di virtuosità di una falsità incredibile.
Il piano iniziale per Alitalia predisposto sotto il precedente Governo che, da un’impresa di Stato gestita finalmente con criteri industriali era poi finito in un regalone al vettore tedesco Lufthansa di una compagnia aerea ridotta ai minimi termini e ancellare, sembra essere momentaneamente tramontato, ma proprio in un momento come questo rappresenterebbe la soluzione migliore in grado di risolvere una buona volta questa telenovela. Anche perché le stime danno un traffico aereo in ripresa solo nel 2024 e gli altri vettori nazionali europei (Lufthansa inclusa, anzi peggio di noi) sono tutti rivolti allo stesso tempo sia ai loro Stati che all’Ue, affinché supportino con aiuti straordinari un settore che giocoforza non potrà essere cancellato per molto tempo, perché di importanza fondamentale per lo sviluppo economico.
C’è da dire che, come segnalato altre volte, proprio in questo momento, nonostante l’Ue blocchi gli ennesimi aiuti di Stato e si corre il rischio di non pagare gli stipendi di febbraio ai dipendenti, Alitalia, con tutte le tempeste pre Covid-19, versa ora in una situazione vantaggiosa avendo già ridotto la propria operatività a livello dimensionale prima della pandemia e quindi in una dimensione di emergenza aziendale già operativa, dovendo compiere meno tagli delle consorelle europee che invece erano immerse in piani di sviluppo stellari.
Il vero nemico che invece non solo Alitalia, ma anche gran parte dell’economia nostrana, deve affrontare riguarda l’ignoranza abissale che molti media (sia ufficiali che “social”) dimostrano nei confronti dell’intera questione, continuando ad augurarsi la sparizione di molte realtà industriali del nostro Paese senza minimamente conoscere non solo le problematiche dei vari settori, ma anche l’incidenza che una caccia “all’untore” di queste dimensioni potrà avere nel futuro di un Paese che, si spera, saprà uscire da questa bruttissima fase e ripartire con ritrovata competitività.
Ormai siamo messi nelle mani di Draghi e dobbiamo credere nelle sue capacità, visto che in quelle nobili di un Conte non ci eravamo incamminati proprio sulla buona strada.
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