Un nuovo prestito per Alitalia di ulteriori 350 milioni è stato inserito nella bozza di decreto legge fiscale. Esso va ad aggiungersi ai 600 milioni prestati a maggio del 2017 e ai 300 milioni aggiunti nell’autunno dello stesso anno. Il totale ammonta pertanto a 1.250 milioni, ma, considerando ulteriori 200 milioni abbondanti di interessi sinora maturati e mai pagati dai commissari straordinari, l’impegno finanziario pubblico complessivo sfiora ormai il miliardo e mezzo. Cosa è stato ottenuto in cambio di tutti questi soldi? Assolutamente nulla dato che Alitalia nei due anni e mezzo di gestione commissariale non è stata venduta, non è stata risanata e neppure chiusa. Esso può essere considerato pertanto come il costo del non fare.
Ovviamente, considerando che con un miliardo e mezzo non sono stati conseguiti risultati di rilievo, è molto difficile pensare che con la cifra molto minore di cui si è sinora parlato, non più di un miliardo lordo destinato a scendere a non più di 650 netti, la complessa compagine azionaria che si sta cercando di assemblare sarà in grado di rilanciare il vettore o quanto meno di salvarlo.
Una perdita eccessiva o un prestito eccessivo?
Alitalia perde 900 milioni all’anno? La domanda è suggerita dall’incrocio di due differenti informazioni. La prima è quella del nuovo e generoso prestito ponte da 350 milioni, improvvisamente apparso come manna dal cielo nelle bozze del Decreto fiscale. Uno slancio spontaneo di generosità del Governo verso i poveri commissari straordinari di Alitalia, i quali aspettano invano da ormai due anni e mezzo, neanche fosse il Godot di Beckett, l’apparizione di un acquirente salvatore? Oppure una risposta tempestiva alla loro pressante richiesta di soldi pubblici a fronte del prossimo esaurimento della cassa? Ma, se i soldi dell’originario generosissimo prestito ponte da 900 milioni stanno finendo, perché hanno continuato a rilasciare interviste tranquillizzanti? Ad esempio, nell’ultimo incontro coi sindacati al Mise lo scorso 18 settembre il commissario Paleari aveva dichiarato, come riportato dal Sole 24 Ore, che a fine agosto la disponibilità di cassa era superiore ai 360 milioni, al netto delle somme depositate in garanzia. Ma il dato di cassa è ben diverso da quello molto più significativo della posizione finanziaria netta a breve termine, dato che non tiene conto dei debiti commerciali scaduti e che dovranno essere saldati.
Alitalia costa ogni mese tra i 250 e i 270 milioni, al netto delle voci di costo che non danno luogo a esborsi di cassa. Dato che le fatture dell’ultimo mese o mese e mezzo non saranno ancora state pagate ecco che tale posta deve essere sottratta al dato sulla liquidità effettivamente disponibile. Inoltre, le compagnie aeree incassano in anticipo i ricavi al momento in cui i passeggeri effettuano le prenotazioni. Sino a quando essi non volano questi introiti sono in realtà debiti verso i clienti, titolati a ottenerne il rimborso qualora il vettore non dovesse effettuare il volo. In sostanza non appare eccessivo stimare nell’ordine di grandezza dei 600 milioni il totale derivante dalla somma delle fatture non ancora pagate e dei biglietti aerei incassati in anticipo, ragion per cui una disponibilità di cassa di 360 milioni risulterebbe ampiamente insufficiente. Almeno 240 milioni mancherebbero all’appello, ma essi rappresentano in tale ipotesi il disavanzo provocato dalla gestione commissariale rispetto ai 900 milioni inizialmente messi loro a disposizione.
Il secondo set informativo rilevante è dato dalle regole europee: in caso di crisi è ammesso un intervento finanziario pubblico a sostegno del vettore in difficoltà, finalizzato al mantenimento in attività dell’azienda, ma soggetto ad approvazione preventiva da parte della Commissione Ue e purché sia temporaneo, non più di sei mesi tra erogazione e restituzione, e non ecceda la metà del presumibile disavanzo di cassa annuo prodotto dalla gestione ordinaria. Pertanto se Alitalia continua a perdere 500 milioni all’anno, e di essi circa 200 sono costituiti da ammortamenti e accantonamenti e dunque non danno luogo a esborsi, il fabbisogno di cassa netto è di 300 milioni e la sua metà è data da 150. Invece i 350 milioni inseriti nella bozza di decreto fiscale sarebbero giustificati solo se Alitalia perdesse addirittura 900 all’anno, corrispondenti al doppio di 350 più 200 di ammortamenti. Per fortuna non è così, pertanto il nuovo prestito non è assolutamente giustificato dalle esigenze di mantenimento in esercizio di Alitalia nel difficile semestre invernale.
Sei personaggi in cerca di vettore? Oppure di altro?
Se nei due anni e mezzo trascorsi di gestione commissariale straordinaria i soldi pubblici spesi sono stati troppi e i risultati in cambio conseguiti si sono rivelati inconsistenti rispetto agli obiettivi, quali aspettative possiamo ragionevolmente riporre nella nuova compagine che si sta formando? Essa appare complessa in quanto costituita da un numero elevato di attori, eterogenei e dagli eterogenei fini. Cos’hanno in comune FS, il Mef, Delta, l’advisor Mediobanca, il socio principale Atlantia da essa individuato e la prudente Lufthansa? Sono davvero sei personaggi in cerca di un vettore, oppure il vettore Alitalia rappresenta solo un utile strumento per permettere loro di perseguire altri e differenti obiettivi? FS è stata incarica dal precedente Governo di coordinare l’iniziativa e il fine ovvio sembra essere quello di uscirne nel modo migliore possibile e dunque con l’impatto minore possibile sui suoi conti; il Mef può solo puntare a recuperare una parte limitata dei soldi erogati a suo tempo; Delta mette un epsilon di capitali e un abbondante set di vincoli e paletti a difesa della sua posizione dominante sulle rotte nordatlantiche; Atlantia candidandosi per Alitalia paga un pedaggio per essere riammessa nella buona società dei titolari di grandi concessioni; infine Lufthansa sembra avere l’interesse maggiore a spostare Alitalia nella sua alleanza globale, ad ampliare la sua presenza nel grosso mercato italiano e a trovare maggiori passeggeri per i suoi hub poco più a nord delle Alpi.
Un nuovo volo aziendale ancora troppo breve?
In nessuno dei casi appena ricordati l’obiettivo principale è dato dal creare le condizioni affinché la futura Alitalia sia in grado di generare profitti. Se così fosse allora noi vedremmo i nuovi azionisti conferire all’azienda tutti i capitali necessari per il suo rilancio, in ogni caso un multiplo di quelli messi sinora inutilmente a disposizione dallo Stato. Invece osserviamo che non di un multiplo si tratta, bensì di una frazione. Infatti, la cifra più elevata indicata parla di un miliardo complessivo ma di essi il 15% di competenza del Mef non è denaro fresco, ma solo conversione di interessi sul prestito. Pertanto i nuovi mezzi finanziari scendono nell’ipotesi più ottimistica a 850 milioni, e di essi una parte dovrà essere utilizzata per acquistare dai commissari i compendi aziendali. Nell’autunno del 2017 essi rifiutarono 210 milioni da Lufthansa, ritenendoli troppo pochi, e all’epoca i giornali scrissero che l’obiettivo era di ottenerne almeno 400. Ma anche nell’ipotesi che i cespiti siano ora acquisibili per soli 200 milioni, i mezzi freschi restanti per l’avvio della nuova Alitalia scenderebbero comunque a 650 milioni, una cifra dell’ordine di grandezza di un mezzo o anche meno di quella sinora impegnata, peraltro senza esiti, dallo Stato italiano. Come si fa allora a tacere che con così poco carburante la nuova Alitalia è inevitabilmente destinata a fare l’ennesimo volo troppo breve?