Dopo aver analizzato il contesto normativo, procedurale, commerciale e mediatico in articoli precedenti, adesso possiamo tirare le fila del discorso e prospettare delle possibili soluzioni per risolvere questa crisi endemica che affligge Alitalia da un ventennio.
Sappiamo che il Governo Conte II ha stanziato tre miliardi per la partenza di ITA, ma il presupposto implicito alla base di questa decisione prevedeva che la vecchia Alitalia transitasse interamente nella nuova compagnia. Ci sono state diverse lotte intestine nel Gpverno per nominare il Consiglio di amministrazione, un Amministratore delegato e un Presidente, ma alla fine si è trovata la quadra e ITA è partita ufficialmente a ottobre 2020.
Come avevamo predetto negli articoli precedenti, le date previste per il primo volo non potevano essere quelle annunciate, poiché non sarà possibile partire prima della stagione autunnale. Quindi per un anno intero questa compagnia si è occupata di trasporto aereo solo in teoria. Venti milioni di euro in cassa per non far volare neanche un aereo ricorda tanto la situazione di quel giocatore della Lazio che percepiva due milioni a stagione per andare in tribuna.
Nel frattempo, ancora prima di partire, il Presidente Caio si dimette, per andare in Saipem. Non possiamo dire neanche che sia un capitano mentre abbandona la nave che affonda, poiché la nave è ancora in porto. Molto probabilmente passerà all’incasso per il suo prezioso contributo in questo anno, ma sui misteri del management parleremo un’altra volta. Fatto sta che con l’impatto devastante sul trasporto aereo causato dal Covid tutti i piani iniziali sono stati ripensati per fare fronte all’emergenza. Tuttavia, non ci pare di cogliere sostanziali differenze tra questo piano e quelli visti in questi ultimi venti anni: riduzione del network, degli aerei, del personale, del costo del lavoro, in una spirale involutiva verso il basso che contraddice la filosofia di fondo di gestione delle compagnie aeree network carrier, che si basano su economie di scala.
A dimostrazione di questo assunto, le compagnie low cost nel frattempo stanno letteralmente invadendo il mercato italiano perché il settore è ripartito e oggi siamo al 60% del trasportato del 2019. L’atteggiamento rinunciatario, implosivo, che nel tennis chiameremmo del “braccino”, cioè la paura di osare che alla fine fa sbagliare i colpi, ci fa intendere che ITA, con questi presupposti, sia perdente per default.
Cosa fare, allora?
Mentre nel dibattito pubblico presente su radio, TV e giornali c’è solo una e una sola soluzione, cioè partire poco e male con un progetto non adeguato al tipo di mercato odierno, in realtà ci sono sul tavolo altre opzioni.
Attraverso gli studi dei professori Gaetano Intrieri e Ugo Arrigo emergono delle evidenze che pare strano non siano state approfondite dal decisore politico. Infatti, stante l’impossibilità di far partire ITA e considerata la grave carenza di cassa dell’Alitalia in amministrazione straordinaria, c’è il concreto rischio che non si riesca a effettuare questo passaggio perché potrebbero nel frattempo finire i soldi per pagare il carburante. Per scongiurare questa eventualità è necessario mettere mano ai conti aziendali e ristrutturarli. Si tratta cioè di turare i buchi del secchio prima di mettere altra acqua.
Come fare? Anzitutto, una proposta che è rimasta inascoltata dalla politica è quella avanzata dal prof. Ugo Arrigo che prevede il passaggio degli asset dall’Alitalia in Amministrazione straordinaria allo Stato come compensazione del credito che questo vanta nei confronti della compagnia per via di ripetuti prestiti erogati in quattro anni. La cifra si attesta orientativamente intorno ai 1.700 milioni, derivanti da 900 milioni del 2017 più altri 400 milioni (in pre-deduzione) più 400 milioni di interessi (10% per quattro anni).
Dato che l’Alitalia non ha né cassa, né patrimonio per onorare i debiti contratti, può pagare in natura (datio in solutum) previa accettazione da parte del creditore, conferendo gli asset allo Stato. In questo modo, tra l’altro, si potrebbero addirittura aggirare le norme europee, poiché il prestito verrebbe di fatto restituito e si azzererebbe il vincolo che viene posto dalla DG competition europea, che impone una radicale discontinuità tra vecchia e nuova azienda. Vale a dire che con questo stratagemma si può addirittura rientrare in toto in possesso del marchio, degli slot e del pacchetto clienti, che in questo modo potrebbero transitare senza colpo ferire nella nuova realtà.
Questa proposta incontrerebbe solo un’obiezione rilevante: lo Stato non ha un COA e quindi non potrebbe gestire questi asset che riceve. Ci sarebbe da aspettare l’ottenimento del Certificato di Operatore Aereo dall’Enac, che comunque non dovrebbe essere molto in là da venire, essendo state avviate le procedure per ottenerlo a febbraio.
In ogni caso, questo primo aspetto riguarda la proprietà degli asset. Ciò non sarebbe tuttavia sufficiente, poiché se poi si mettono questi asset nelle mani sbagliate sarebbe come versare acqua in un secchio bucato. E non a caso, durante il commissariamento della compagnia sono stati persi più soldi che durante la disastrosa gestione di Etihad. Impresa difficile, ma con un po’ di impegno ci si riesce.
Si richiede perciò una seconda mossa di tipo gestionale. È stata avanzata la proposta da parte del prof. Intrieri di un lease-back che permetterebbe di ottenere una liquidità immediata per poter pagare dipendenti, fornitori e carburante fino alla partenza di ITA. Come abbiamo detto sin dal primo articolo, quello delle forniture è un problema spinoso al quale i vari commissari che si sono avvicendati non hanno dato soluzione, basti vedere leasing degli aerei, carburante e manutenzione.
In particolare, il prof. Intrieri già cinque anni fa identificò esattamente i punti dolenti del bilancio, le falle nei processi interni, le distonie tra dichiarazioni e azioni del management, prevedendo tempi e modi dell’evoluzione della crisi fino agli sviluppi attuali. Forse è solo fortunato, forse ha delle competenze specifiche che in questo settore sono vitali; fatto sta che nessuno ha ascoltato le proposte (sensate) che lui e il prof. Arrigo hanno avanzato in questi quattro anni (buttati).
Ad adiuvandum, i dipendenti hanno lanciato una petizione che ha riscosso un notevole successo con oltre seimila firme su un totale di 10.600 dipendenti per cambiare il management e nominare persone in grado di sapere gestire questo tipo di transizione.
Una volta ristrutturata la compagnia in amministrazione straordinaria si aprono diverse vie, tra le quali continuare a risanare (modello Parmalat), oppure trasferire a ITA, o ancora venderla sul mercato.
Nelle puntate precedenti abbiamo anche accennato al fatto che l’azienda in mano allo Stato in passato ha avuto performance migliori sotto tutti i punti di vista, mentre con i privati si è innescata una crisi senza uscita che ci ha portato fino a questo punto di non ritorno.
Il dibattito su nazionalizzazione sì, nazionalizzazione no in realtà è un falso problema poiché in Italia si nazionalizza o si privatizza per lo stesso motivo: a seguito di una gestione disastrosa. Se gestisci male non devi nazionalizzare o privatizzare; devi gestire bene. E per farlo devi fare tesoro degli errori fatti e delle malversazioni subite altrimenti si tornerà al punto di partenza con strategie sbagliate, persone incompetenti e filosofie organizzative patologiche.
Il fallimento non è che una naturale conseguenza del modello gestionale. Come quando chiamarono Ventura ad allenare la nazionale. Si può dare la colpa all’arbitro, alla Svezia che fa catenaccio, alle regole, ma se giochi male è inutile addossare responsabilità agli altri. Va reimpostato tutto secondo altre logiche, possibilmente mettendo in prima linea persone che sanno fare il loro lavoro.
Al termine di questa rassegna su sintomi, diagnosi e terapie per la compagnia aerea rimane un quesito che attiene alla responsabilità politica. Perché queste proposte, che sono sensate, a costo zero per la collettività, propedeutiche al rilancio effettivo dell’Alitalia, che non creano disastri sociali derivanti da licenziamenti di massa, che permettono al Paese di mantenere quella connettività con il mondo necessaria a un’attrazione turistica e alla propria industria, non sono prese in considerazione da ministri, parlamentari ed esponenti politici?
Quest’anno ricorre il settecentesimo anniversario della morte di Dante, esule affranto dalla visione di un Paese diviso, rissoso, miope. Tuttavia, il suo dolore personale, derivante dalla constatazione della mala-politica, lo ha portato a scrivere la più grande opera concepita da un umano. Vedere una compagnia con tali potenzialità così mal gestita e in mano a incompetenti di ogni risma che ne pregiudicano il futuro non può che richiamare alla memoria il passo della della Divina Commedia, attualissimo e pertinente: “Ahi, serva Italia di dolore ostello, nave sanza nocchiero in gran tempesta, non donna di province, ma bordello!”.
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