Per Alitalia è arrivato il tempo di decidere. Pensiamo che possa ancora servire al Paese? Oppure che sia superflua e che il trasporto aereo italiano possa essere integralmente affidato ai vettori esteri che già hanno occupato la gran parte del nostro mercato? Se riteniamo che valga la seconda ipotesi dobbiamo avere il coraggio di metterla in liquidazione, con tutto quanto ne consegue in termini di perdita di posti di lavori e costi pubblici per gli ammortizzatori sociali.
Se riteniamo che valga la prima dobbiamo attrezzare un percorso adeguato di salvataggio e rilancio e imporlo all’Unione europea, dimostrando, se necessario anche di fronte alla Corte di giustizia di Lussemburgo, che è compatibile col Trattato Ue ancorché incompatibile col disegno su di noi del Commissario europeo alla concorrenza e con quello, non necessariamente differente, dei principali vettori esteri che operano in Italia.
La strada della liquidazione di Alitalia è molto semplice e non necessita di essere dettagliata. Quella del salvataggio e rilancio è invece estremamente complicata, dopo quattro anni di gestione commissariale che non hanno portato ad alcun esito, come era d’altra parte inevitabile che fosse. Il presente intervento è pertanto finalizzato a illustrare cosa si può ancora fare se non si intende prendere la via della liquidazione, tenendo ben presente che non restano più di due o tre settimane a disposizione. Provo pertanto a delineare un percorso che è semplicemente l’aggiornamento di quello che avevo già esposto in un intervento sul Sussidiario del 16 ottobre 2019.
La via del salvataggio richiede in primo luogo di garantire la continuità operativa di Alitalia, una condizione che è impossibile per l’attuale Amministrazione straordinaria a causa delle insufficienti disponibilità di cassa e dei ristori centellinati dall’Unione europea. La continuità operativa richiede due condizioni congiunte: un soggetto responsabile dell’operatività; una dotazione di cassa adeguata.
Il soggetto non può che essere uno tra l’attuale Amministrazione straordinaria e la newco ITA. Dato il pochissimo tempo a disposizione altre soluzioni non sono ipotizzabili. Al riguardo l’Amministrazione straordinaria è avvantaggiata dal fatto di svolgere già tale ruolo, ma è priva della cassa necessaria. La newco ITA è invece avvantaggiata sul secondo fronte in quanto potrebbe utilizzare una parte dello stanziamento pubblico di tre miliardi, qualora fosse debitamente autorizzata al riguardo. Essa manca tuttavia al momento delle licenze di operatore aereo, indispensabili per poter assumere la titolarità dell’esercizio del trasporto, oltre che del via libera dell’Ue all’utilizzo dei fondi pubblici. Una soluzione possibile è evidentemente quella dell’affitto del ramo d’azienda del trasporto vero e proprio dall’Amministrazione straordinaria a ITA, ma essa richiede comunque che l’affittuario disponga preventivamente delle necessarie licenze di operatore aereo, un requisito che appare di difficile realizzabilità in tempi così stretti.
In ogni caso la newco ITA, per come si è delineata nel suo disegno originario, rappresenta una soluzione nello stesso tempo inadeguata alle esigenze di trasporto aereo del Paese e, soprattutto, non dotata dei requisiti dimensionali necessari per competere in maniera efficace in un mercato estremamente concorrenziale. Nessun piccolo vettore tradizionale, privo dei vantaggi di costo e di mercato garantiti dalle sue dimensioni, può infatti sopravvivere in un mercato nazionale grande, dominato da compagnie low cost che ne falcidiano i proventi unitari. Purtroppo la soluzione ITA, se si insistesse sul suo disegno originario, implicherebbe: spezzatino aziendale; miniaturizzazione aziendale; insostenibilità economica; breve durata prima di un nuovo fallimento; perdita dei 3 miliardi di fondi pubblici stanziati. Né giova al riguardo insistere nella trattativa con l’Ue per dimensioni maggiori. È sotto gli occhi di tutti, infatti, come la Direzione Concorrenza della Commissione persegua palesemente, forse perché pressata dai grandi vettori, obiettivi di darwinismo economico: Alitalia si è dimostrata inadeguata a stare sul mercato da più di 20 anni a questa parte e dunque deve togliersi di mezzo al più presto. Trattare con l’Ue è pertanto completamente inutile perché verrebbe comunque fuori una soluzione solo di breve periodo e dai costi pubblici ingiustificati.
Nello stesso tempo mettersi contro l’Ue, facendo scelte in palese contrasto con le regole europee, rappresenterebbe un grave danno, data la posizione di debolezza generale dell’Italia e la precedente doppia violazione attuata erogando senza autorizzazioni preventive i due prestiti pubblici da 900 e 400 milioni nel 2017 e nel 2019. Occorre dunque rispettare il Trattato Ue adottando scelte formalmente ineccepibili dal punto di vista del diritto comunitario e che risultino impermeabili a contestazioni da questo punto di vista.
L’idea di acquisire allo Stato i compendi aziendali di Alitalia a rimborso ancorché parziale dei prestiti erogati in maniera non conforme alle regole comunitarie rientra in questa fattispecie. Si tratta dunque di trasferire con una norma la proprietà degli attivi dell’attuale Amministrazione straordinaria allo Stato come rimborso in natura del prestito più recente di 400 milioni, il quale gode per legge della prededuzione rispetto a ogni altro credito verso l’azienda. Si applicherebbe in questo modo la fattispecie civilistica della datio in solutum, prevista dall’art. 1197 c.c. e già esistente nel diritto romano, la quale permette il rimborso di un debito in forma differente da quanto pattuito se il creditore è d’accordo. Questa soluzione, che non trova alcun ostacolo nelle regole comunitarie, è applicabile al prestito più recente di 400 milioni ma non al primo di 900, in quanto un’incomprensibile norma del 2019 lo ha sottratto all’iniziale prededucibilità. Qualora si desideri estendere questa soluzione anche ai 900 milioni occorrerebbe in conseguenza cancellare tale norma e ripristinare l’originario carattere privilegiato.
Il vantaggio della soluzione appena delineata consiste nel fatto che una semplice norma trasformerebbe Alitalia (i suoi attivi), da debitore sotto la spada di Damocle dell’Ue di un prestito illegittimo e impossibile a restituirsi, nella restituzione stessa allo Stato creditore del predetto prestito. Un colpo di bacchetta magica normativa che non risolve però se non una minima parte dei problemi. Nel momento in cui lo Stato perviene nella proprietà dei compendi di Alitalia non è tuttavia in grado di esercitare in via autonoma il trasporto aereo, non disponendo di un veicolo giuridico dotato delle necessarie licenze aeree.
Per superare questo impasse si potrebbe adottare la stessa soluzione impiegata nella prima metà di gennaio 2009, periodo in cui la newco di allora, l’Alitalia CAI che aveva acquisito i compendi dall’amministrazione straordinaria dell’epoca, non era ancora in grado di volare in quanto non aveva ancora ottenuto le necessarie licenze. In quel periodo pertanto l’attività di volo fu garantita in continuità dall’Amministrazione straordinaria uscente ma su incarico e per conto della nuova società e con costi e ricavi a essa imputati. In maniera analoga e a far tempo da una certa data l’attività di volo, ancora realizzata organizzativamente dall’Amministrazione straordinaria, verrebbe da essa esercitata per conto dello Stato nelle more della costituzione all’interno della stessa Amministrazione di una società veicolo, in grado di dotarsi delle licenze e alla quale trasferire la proprietà dei compendi. Infine la nuova società, pienamente operativa e dotate delle licenze, verrebbe trasferita nella proprietà dello Stato a chiusura del prestito.
La gestione temporanea per conto dello Stato dell’Amministrazione straordinaria dovrebbe essere dotata di un finanziamento per coprire le esigenze di cassa della fase transitoria, accentuate dal persistere della pandemia. Per tale finanziamento si dovrà aprire procedura autorizzativa con l’Ue, resa tuttavia meno problematica dell’aver fatto tabula rasa della precedente procedura d’infrazione. Le norme comunitarie permettono un prestito d’emergenza per un semestre che copra il fabbisogno di cassa del periodo, che era quello a cui si sarebbe dovuto limitare il governo del 2017 al momento del primo conferimento. Nel caso di Alitalia esso potrebbe voler dire un importo di 200 milioni.
Nel momento in cui lo Stato ottiene la piena proprietà della newco operativa si ritrova di fronte diverse possibilità di azione, in ogni caso subordinate al via libera dell’Ue: 1) mantenere una gestione pubblica (ipotesi stand alone); 2) mettere in vendita in maniera unitaria l’azienda tramite una procedura pubblica; 3) ricercare un’integrazione europea in un grande gruppo dando disponibilità a entrarne nell’azionariato.
Tutte le tre ipotesi sono astrattamente possibili, tuttavia: 1) per ottenere il via libera Ue sulla prima occorre dimostrarne la sostenibilità economica ed è prevedibile che si ritornerebbe ai paletti già posti nella fase attuale; 2) sulla seconda ipotesi non vi sarebbero rilievi, ma essa non sembra granché utile alle esigenze del trasporto aereo italiano né permetterebbe di realizzare obiettivi di politica industriale; 3) solo la terza soluzione appare compatibile con l’obiettivo di ricercare per il nostro Paese, dopo tre decenni in cui non si è fatto, la possibilità di un vettore network di dimensioni adeguate alla grandezza del nostro mercato. Essa consiste in sostanza nel mettere a disposizione di un’aggregazione europea sia quello che resta di Alitalia, sia lo stanziamento di tre miliardi di fondi pubblici, contrattando dimensioni minime sufficientemente estese di un vettore nazionale da essa controllato, ma con lo Stato italiano tra gli azionisti del gruppo. È la proposta già formulata nel contributo per il Sussidiario del 15 febbraio scorso: «Si tratta di utilizzare i tre miliardi già stanziati non per cercare di far decollare una compagnia microscopica, bensì per acquisire una partecipazione di rilievo in un grande vettore europeo al fine di integrare nel medesimo quel che resta di Alitalia e di affidargli da azionisti il rilancio e la crescita dimensionale del vettore nazionale, quello che avremmo dovuto fare noi nel corso del tempo, ma che non abbiamo neppure provato dopo la metà degli anni ’90».
(2- fine)
— — — —
Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.
SOSTIENICI. DONA ORA CLICCANDO QUI