ALITALIA-ITA. Le ultime giornate di agosto 2021 hanno caratterizzato molti degli eventi legati al settore del trasporto aereo italiano.

Cominciamo con ITA. La compagnia del presidente Alfredo Altavilla oggi è alle prese con una delicata partita con i sindacati rispetto ai lavoratori da assumere.

Ci sono molti aspetti da risolvere, dalla questione del call center Almaviva, che potrebbe dover mettere in cassa integrazione oltre 600 addetti a Palermo, alla discontinuità a seguito del passaggio dell’asset aviation, senza contare la questione del contratto dei lavoratori, che prevede dei tagli anche del 30% rispetto ai contratti Alitalia. Tutte cose che, a mio avviso, potrebbero diventare veramente marginali rispetto a un possibile quadro strategico che mi accingo a illustrare.



Parlando di Alitalia, invece, la procedura di amministrazione straordinaria è alle prese con i bandi per poter mettere all’asta gli ultimi asset della compagnia rimasti disponibili rispetto all’offerta pervenuta da ITA (ed accettata dai commissari con riserva) e sulla base degli accordi che la Dg Comp ha concordato con il Mef, con il Mise e con ITA stessa.



Oltre al ramo maintenance e a quello dei servizi aeroportuali, una delle questioni più spinose è quella legata al marchio AZ che, stando ad alcune informazioni abbastanza attendibili, dovrebbe avere un valore stimato tra i 135 e i 160 milioni di euro.

La procedura punta sicuramente ad avere maggiore realizzo mettendo in gara più pretendenti. Due di questi pretendenti li conosciamo molto bene: sono ITA e Ryanair. Ma dietro l’angolo ce ne potrebbero esserne altri: fondi londinesi, fondi americani e anche quelli emiratini. Tutti soggetti che potrebbero puntare ad accaparrarsi il marchio Alitalia anche per 250-300 milioni di euro per poi fare un’offerta al rialzo a ITA o direttamente al governo con un mark-up di almeno il 20-25%, e poco conterà il fatto che l’esecutivo di Mario Draghi abbia cercato di limitare la presenza all’asta di coloro interessati a fare delle speculazioni, delineando un perimetro di soli soggetti operanti in campo aeronautico. Chi vorrà il marchio darà certamente battaglia per averlo.



Uno di questi è sicuramente Michael O’Leary, che cercherà di non farsi scappare l’occasione ghiotta di correre all’asta per ottenere un brand che gli consentirebbe finalmente di entrare a pieno titolo in Italia con un marchio forte e dal gusto Made in Italy, creando una costola tutta italiana di Ryanair.

Questo porterebbe a un consolidamento permanente della posizione di Ryanair sulle rotte domestiche, con la conseguenza diretta di un innalzamento delle tariffe medie della compagnia di Dublino (basterebbero meno di 7 euro a passeggero), tale da consentire alla low cost irlandese di ammortizzare in pochissimo tempo il costo pagato per ottenere il marchio AZ. Alla fine, pagano sempre i passeggeri.

Attualmente Ryanair è la prima compagnia aerea in Italia per numero di passeggeri trasportati. Ma aggiudicandosi il marchio AZ potrebbe diventare il player di riferimento per il feederaggio di ogni compagnia aerea che vorrebbe posizionarsi sul segmento di lungo raggio in Italia, sia a Roma Fiumicino ma anche – in previsione dello sviluppo di voli di lungo raggio – ad Orio al Serio, senza contare il peso contrattuale che potrebbe sfruttare praticamente su quasi tutti gli aeroporti italiani per ottenere determinate agevolazioni.

L’aumento delle frequenze e l’innalzamento della tariffa media consentirebbe quindi a Ryanair una maggiore flessibilità nell’offrire ad altri carrier intercontinentali tariffe di feederaggio (attualmente con le tariffe in vigore e le percentuali di riempimento sarebbe molto difficile approcciare quel tipo di segmento), consentendo quindi alla compagnia di Dublino di consolidare e controllare delle direttrici di traffico, in special modo quello turistico, molto importanti.

Ma non c’è solo Ryanair a giocare questa complicata partita di risiko aeronautico. Anche EasyJet potrebbe essere interessata alla gara per il  marchio Alitalia. Non a caso anche la low cost inglese, compagnia aerea di riferimento di Milano Malpensa, dopo l’accordo commerciale stipulato con Emirates sulle rotte di New York e Dubai da Malpensa, ha recentemente siglato un nuovo accordo di feederaggio verso alcune destinazioni italiane con “La Compagnie”, la compagnia aerea francese che da novembre servirà la tratta MXP-JFK con degli A321 LR in configurazione “All Business Class”.

Dopo una perdita consistente nel 2020-2021 (quasi 700 milioni di sterline) e un contenimento del proprio network operativo, rispetto ad altre low cost che invece hanno cercato una forte espansione, il tentativo di riposizionamento come operatore prevalentemente feeder è molto logico, soprattutto perché EasyJet ha già una tariffa media per sedile molto più alta rispetto a quella di Ryanair e di WizzAir e quindi si può permettere, prima di altri, di “spacchettare” le proprie tariffe proprio a vantaggio di operatori intercontinentali.
Inoltre gli aerei di EasyJet, tutti Airbus family, si prestano perfettamente a questo tipo di attività risultando una compagnia che potrebbe trasformare i problemi dovuti alla pandemia in una nuova opportunità di business.

Ma veniamo alla domanda fatidica: e se ITA non dovesse aggiudicarsi il marchio di AZ?

Il significato di tutte queste operazioni di mercato tende a identificare un quadro ben preciso di come la scacchiera del trasporto aereo italiano si stia delineando sempre più, anche alla luce della pubblicazione nei sistemi di prenotazione del network di ITA, ed è questa la vera sorpresa del momento.

E’ evidente che il vuoto lasciato da Alitalia a seguito della pandemia faccia gola a più di qualcuno che vorrebbe coprire quelle quote di mercato velocemente. Ma a giudizio di chi scrive nessuno tra media ed esperti ha effettivamente ben compreso quale potrebbe essere la vera strategia di ITA, stante il fatto, inconfutabile, di nascere troppo piccola e riposizionata su un aeroporto (quello di Linate) che attualmente non le consentirebbe di muoversi agevolmente rispetto alle attuali norme in vigore, ed essendosi disegnata un vestito che ai più sembra molto, troppo, stretto per una compagnia aerea Full Service Carrier che possa trovare un equilibrio economico nel mercato delle major o concorrenziale rispetto alle low cost.

Come poc’anzi ricordato, la vera sorpresa è proprio il network di ITA, ovvero la strategia che c’è dietro una scelta così impopolare, quella cioè di non consolidare l’hub di Fiumicino sulla base di una strategia “hub and spoke”. Ma allora il management di ITA è incompetente? Non sa quello che fa? Sono forse impazziti?

Cerchiamo di fare luce sul problema, perché una volta tanto, rispetto ai molti, andrò controcorrente e dirò invece che il management di ITA sa esattamente quello che fa, perché a mio avviso la strategia che questo network suggerisce, potrebbe essere dirompente e alla base credo ci sia una regia ben precisa.

ITA, invece di lasciare gli slot di Linate, li ha protetti fino ad essere riuscita a tenerli praticamente quasi tutti. L’analisi che è stata fatta dal Corriere della Sera qualche giorno fa e che indicava un posizionamento di ITA su Linate con 10-12 aerei non è secondo me del tutto corretta. Per poter operare tutti quei voli è necessario disporre di almeno 16-18 aeromobili basati a Linate. Di fatto un’offerta di oltre 7 milioni di posti, in pratica più del traffico complessivo di Linate del 2019.

Nei giorni scorsi il governo ha comunicato che intende varare una norma che prorogherà le autorizzazioni per i voli su Londra da Milano Linate, in deroga alla situazione che si era venuta a creare con la Brexit. Questo ovviamente ha penalizzato gli aeroporti di Malpensa e di Orio al Serio, che già si vedevano spostare tutti i voli da e per Londra sui loro scali con conseguente aumento dei volumi di traffico.

Stranamente questa norma arriva proprio nel momento in cui ITA dovrebbe cominciare ad operare come compagnia. Che sia puramente casuale? Ma quale potrebbe essere la motivazione che ha fatto propendere ITA per portare la trattativa con la Dg Comp a ottenere l’85% degli slot su Linate e a ridurre di oltre la metà quelli su Roma Fiumicino? Perché Linate presto o tardi si aprirà ai voli intercontinentali, e questa potrebbe essere la vera novità dei prossimi decreti del governo.

Infatti, dal punto di vista tecnico, non ci sarebbero grossi ostacoli: la pista del Forlanini è lunga 2,44 km e oggi consente l’atterraggio di aerei widebody quali il B-767 e l’A330, gli unici che possono decollare a pieno carico dall’aeroporto di Linate, che è classificato Icao 4D, cioè certificato per aeromobili sotto i 52 metri di lunghezza e lunghezza carrello sotto i 14 metri. Guarda caso gli stessi aerei (Airbus A330-200) che ITA si è portata dietro da Alitalia.

Si ritiene che i primi voli, principalmente verso gli Stati Uniti, potranno essere effettuati già verso la fine del 2022 quando ITA avrà la certificazione Etops e avrà formalmente dichiarato chi sarà il partner che sceglierà per l’alleanza. Dalla composizione della flotta e dalle destinazioni che ITA intende coprire rispetto al network inserito nei sistemi di prenotazione, e quindi anche rispetto all’aumento importante delle frequenze della navetta Milano-Roma (almeno 18 frequenze giornaliere) e che solo in questo contesto trovano un senso logico, l’alleato naturale non potrà che essere Lufthansa, alla quale ITA consegnerà sostanzialmente tutto il traffico del Nord Italia su Linate, aeroporto che – guarda caso – dispone delle tariffe medie di mercato più alte di quasi tutti gli aeroporti europei.

Di fatto, se si dovessero verificare tutte le ipotesi fin qui illustrate, ITA diventerebbe la titolare indiscussa dell’hub di Milano Linate. Ed ecco allora che la concorrenza delle low cost e il marchio Alitalia diventerebbero problemi veramente marginali rispetto al monopolio di ITA sul nuovo hub milanese.