La nuova compagnia ITA si appresta a decollare tra molte incertezze e diverse questioni irrisolte. Le principali sembrano essere tre:

1) l’acquisizione da Alitalia in amministrazione straordinaria degli asset indispensabili per produrre dal prossimo 15 ottobre i voli per i quali ITA sta già vendendo le prenotazioni;



2) il reclutamento, l’assunzione e la formazione del personale necessario;

3) l’acquisizione delle necessarie autorizzazioni per operare sul lungo raggio, un segmento dal quale la vecchia Alitalia gestita dai commissari ricavava oltre la metà del suo fatturato.

Ordinando le tre problematiche in ordine d’importanza parto dall’ultima.



Da quando ITA potrà volare verso gli Usa e sul lungo raggio in generale?

Nel programma dei voli annunciato da ITA sul sito sul quale raccoglie le prenotazioni sono indicate diverse mete di lungo raggio negli Stati Uniti, in Sud America (Buenos Aires e Rio) e Giappone (Tokio). Tuttavia i relativi voli non sono al momento prenotabili in quanto, come spiegato sul sito, “…per alcune destinazioni extra UE (Algeria, Argentina, Brasile, Giappone, Stati Uniti) ITA sta completando il processo di certificazione necessario per avviare la commercializzazione e prevede di mettere in vendita i biglietti per tali Paesi quanto prima”.



Su questa limitazione iniziale nell’offerta vi sono tuttavia alcune domande senza risposta:

1) Qual è la ragione esatta dell’impossibilità di effettuare i voli?

2) È la stessa per tutte le destinazioni che non sono partite o si tratta di cause diverse?

3) Qual è il momento prevedibile in cui esse potranno essere commercializzate?

Si tratta di domande non banali alle quali si attende una doverosa risposta dalla nuova azienda, che ricordiamo essere a totale capitale pubblico, per ragioni di trasparenza sia verso i consumatori sia verso i contribuenti, che ne sono azionisti di fatto, senza avere avuto la possibilità di scegliere questa condizione.

Ricordiamo anche che, nell’anno dell’ultimo bilancio pubblicato dell’Alitalia a gestione privata, l’ormai lontano 2015, il fatturato generato dal traffico di lungo raggio era la metà esatta dei ricavi aziendali e che negli anni seguenti la flotta di lungo raggio si era accresciuta di due unità, con un incremento di posti di circa il 10%. Pertanto i ricavi del lungo raggio dovrebbero essere saliti nettamente oltre la metà di quelli totali nel periodo pre-Covid gestito dall’amministrazione straordinaria. Poiché questa componente inizialmente non potrà esservi del tutto, è evidente come la nuova azienda parta già azzoppata nei ricavi.

Non essendovi ragioni ufficiali dei mancati voli di lungo raggio si possono solo formulare ipotesi. Per gli Stati Uniti, e presumo anche per il Sud America, la ragione più probabile è la certificazione chiamata ETOPS, che consente a un’aviolinea di utilizzare aerei bimotori su rotte che prevedono distanze, come quelle transoceaniche, superiori a un’ora di volo dall’aeroporto più prossimo al quale ci si può dirigere in caso di necessità. Questa autorizzazione non viene tuttavia concessa nel caso degli Stati Uniti a compagnie di nuova costituzione entro il primo anno di attività, che è utilizzato come verifica della capacità tecnica effettiva della medesima.

Oltre a questo vincolo ve ne è inoltre un secondo, che non riguarda gli Stati Uniti, dato che verso di essi vige dall’Europa un regime di “open sky”, dunque liberalizzato, bensì i restanti paesi e deriva dagli accordi bilaterali siglati dall’Italia tramite trattati internazionali, i quali hanno a suo tempo designato l’Alitalia come compagnia abilitata a svolgere i voli, in coppia con la compagnia designata dall’altro paese. Ad esempio nel caso del Giappone vi è un vincolo di 7 voli settimanali per parte nel caso dell’aeroporto più importante che è quello di Haneda. Quanto sono vincolanti questi accordi e in essi la compagnia designata per il nostro paese è unicamente Alitalia oppure vi è la possibilità di inserirne altre, la cosiddetta multi-designazione? È evidente che, se vale la prima ipotesi, ITA non potrà volarvi sino al cambiamento dei relativi trattati.

Il passaggio degli asset da Alitalia a ITA 

Il passaggio degli asset da Alitalia a ITA è fondamentale per il decollo del nuovo vettore, il quale al momento dispone dei soli due aerei che ha preso in leasing da Alitalia per poter conseguire le certificazioni Enac. Sappiamo, in base alle informazioni diffuse dalla stessa ITA, che essa ha reso vincolante in data 25 agosto l’offerta d’acquisto di cespiti trasmessa ad Alitalia in amministrazione straordinaria pochi giorni prima. Tuttavia nessuna informazione è sinora trapelata su quanto sia esteso il ramo d’azienda richiesto da ITA ai commissari né, a maggior ragione, quale sia il prezzo che essa è disponibile a pagare.

A dar man forte all’acquirente ITA rispetto ai commissari venditori sono intervenute le norme del decreto legge n. 99 del 30 giugno, poi inglobato nel pre-esistente decreto n. 73, approvato con legge 106 del 23 luglio scorso. L’articolo 11-quater stabilisce infatti che i commissari “provvedono, anche mediante trattativa privata, al trasferimento, alla società (ITA), dei complessi aziendali individuati nel piano (industriale della medesima).  Dunque essi sono obbligati a vendere a ITA gli asset che essa desidera e non possono rifiutarsi di farlo. Non si era mai vista una norma del genere in Italia, finalizzata a porre in posizione privilegiata una specifica controparte dei commissari, in contrasto con il principio costituzionale di eguaglianza, e a distogliere l’amministrazione straordinaria dal suo compito istituzionale di tutela dei creditori incagliati nell’insolvenza aziendale. L’unica cosa che non può fare ITA, per fortuna, è decidere il prezzo, altrimenti perché non dovrebbe porlo a un euro se la controparte è obbligata a venderlo a lei? Al riguardo la norma dice che “La stima del valore dei complessi oggetto della cessione può essere effettuata tramite perizia disposta da un soggetto terzo individuato dall’organo commissarialeDunque il prezzo proposto da ITA nell’offerta vincolante può essere ritenuto congruo oppure non congruo. Vedremo al riguardo.

Su questo tema vorrei però sollevare un’altra questione, non secondaria: poiché ITA può per legge ritagliarsi a piacere la parte del ramo volo che le serve, la sua scelta avrà effetti anche sulla parte volo che essa non acquisisce, che è più grande della parte di suo interesse e che dovrà essere ceduta separatamente ad acquirenti differenti. Se il ritagliarsi a piacere il perimetro da parte di ITA fa perdere di valore alla restante parte (rispetto a una divisione ottimale in rami d’azienda volo distinti, effettuata in autonomia dai commissari), allora ITA non dovrebbe pagare solo quanto vale ciò che prende, ma anche quanto fa perdere di valore a ciò che lascia.

Molti disoccupati e bassi salari per i più fortunati

L’ostacolo più grosso sulla pista di decollo del nuovo vettore è senza dubbio rappresentato dalla necessità di acquisire il personale. Se è vero che per produrre i voli che ITA sta vendendo ha bisogno degli aerei di cui ora dispongono i commissari di Alitalia, è vero che essa ha anche necessità degli equipaggi e di un minimo di personale per la sua organizzazione. Su questo fronte ITA non intende acquisire automaticamente il personale che già sta lavorando nel ramo d’azienda di Alitalia che intende acquistare, come da prassi e da norme in questi casi, ma ha aperto un sito in cui chi vuole candidarsi può depositare il suo CV per le posizioni lavorative indicate.

Anche questo appare come un unicum nelle relazioni industriali, foriero di diversi quesiti. Il metodo ha indubbi svantaggi: riuscirà l’azienda a effettuare in tempo, per decollare il 15 ottobre, le selezioni, assumere il personale individuato ed erogare i corsi di formazione, indispensabili trattandosi di assunti ex novo da un’azienda di trasporto aereo completamente nuova?

Esso ha peraltro anche indubbi vantaggi dal punto di vista dei costi aziendali: da un lato, mette infatti in evidenza l’abbondanza di manodopera, qualificata per il trasporto aereo, che non ha al momento lavoro o non lo avrà più con la cessazione dei voli di Alitalia, e dunque fornisce all’azienda il coltello dalla parte del manico. Infatti le domande sinora presentate sono almeno il triplo dei posti effettivamente disponibili.

In secondo luogo, il nuovo metodo rottama le organizzazioni sindacali, il cui ruolo è sempre stato molto esteso nei sette decenni di storia di Alitalia. Infatti a che servono più i sindacati se il rapporto di lavoro diviene individuale nei confronti di ogni singolo assunto? Chissà se le organizzazioni si sono accorte di questa importante novità e del fatto che l’unico compito che sembra essergli rimasto è quello di presentarsi con la bandiera bianca ai previsti incontri con l’azienda, ultimo retaggio, ma solo formale, di un passato per loro glorioso ma che tuttavia non vive più.

D’altra parte il presidente della nuova azienda sembra essere stato molto chiaro nell’introduzione al primo incontro che vi è stato, visto che avrebbe dichiarato, come riportato dai media, che “ITA non ha alcun collegamento e dovere nei confronti di Alitalia in amministrazione straordinaria” e dunque si presume neppure verso il suo personale. Nello stesso incontro, inoltre, “È stata presentata una proposta con una ipotesi di ridefinizione di un nuovo contratto collettivo nazionale di lavoro per il personale navigante e per il personale di terra (business unit collegate al ramo aviation) che i sindacati non hanno osato svelare ai loro iscritti, dicendo che per ora è “poco definita nei dettagli” ma che Il Messaggero ha rivelato preveda tagli stipendiali tra il 25 e il 30%, con un conseguente allineamento a quelli dei vettori low cost più spinti. Infatti, come ha scritto il Corriere, “Il presidente di Ita Alfredo Altavilla mostra alcune slide sul costo del lavoro delle altre compagnie, annuncia l’uscita da Assaereo (l’associazione di categoria che aderisce alla confederazione Confindustria) e descrive una propria bozza di accordo da negoziare”. O da prendere o lasciare? Anche qui prossimamente si vedrà.

L’unica cosa certa è che, anche qualora ITA riesca a divenire low cost dal lato del personale, non sarà in grado di farlo verso i restanti cinque sesti di costi industriali, che non sono costo del lavoro. E in conseguenza non potrà cambiare il suo destino. La vecchia Alitalia, infatti, non avrebbe equilibrato i conti neppure se il personale avesse rinunciato a tutti i soldi che gli dava l’azienda, lavorando completamente gratis.

Concludo con una segnalazione che mi ha fatto un amico cinefilo: il modello di relazioni industriali che emergerebbe dall’analisi di questo primo incontro azienda-sindacati, di tipo molto top-down, assomiglierebbe straordinariamente, pur nella diversità di settori, a quello di un famoso capolavoro della storia del cinema, il film futurista e distopico Metropolis di Fritz Lang, ambientato nel 2026, a cento anni esatti dalla sua realizzazione. Devo dire che non è un piacevole paragone, data la netta separazione e incomunicabilità tra classi sociali che è alla base di quell’ambientazione, così descritta nella scheda in francese del film: “En 2026 Metropolis est une mégapole dans une société  dystopique divisée en une ville haute, où vivent les familles intellectuelles dirigeantes, dans l’oisiveté, le luxe et le divertissement, et une ville basse, où les travailleurs font fonctionner la ville et sont opprimés par la classe dirigeante” (“Nel 2026 Metropolis è una megalopoli in una società distopica divisa in una città alta, dove vivono le famiglie intellettuali dominanti, nell’ozio, nel lusso e nel divertimento, e una città bassa, dove i lavoratori fanno funzionare la città e sono oppressi dalla classe dirigente”).

Avrà ragione il mio amico? Troppo presto per confermare o per smentire. Io comunque gli ho fatto notare che la fabbrica di Metropolis non era un’azienda pubblica. Nel frattempo consiglio vivamente la visione di quel grande capolavoro.

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