La fantasiosa e allo stesso tempo drammatica gestione pubblica dell’Alitalia in Amministrazione Straordinaria, seguita alla negativa gestione privata di Etihad conclusasi nel 2017, ha suscitato un profondo stupore tra gli addetti ai lavori, incluso il sottoscritto, oltre a molti ex-colleghi e docenti universitari, che al trasporto aereo hanno dedicato larga parte della propria vita professionale. Di fronte a un quadro fosco e per certi versi incredibile, la crescente amarezza tra gli esperti e appassionati del mondo aeronautico ha prodotto un florilegio di articoli e commenti sulla crisi Alitalia principalmente riferiti al merito delle decisioni pubbliche, prese o da prendere, nel post-Covid e ai Piani industriali, da predisporre e attuare, per evitare il collasso dell’intera catena del trasporto aereo di matrice nostrana.
Nella sostanza i Decisori pubblici, negli ultimi quattro anni, hanno messo in campo, sebbene “a rate”, un pacchetto di soluzioni che complessivamente preleva circa dieci miliardi di euro dalle tasche dei contribuenti per licenziare oltre settemila persone. Considerando che solo meno di un miliardo euro di perdite aggiuntive è attribuibile alla pandemia, possiamo tranquillamente affermare che la liquidazione di ogni singolo dipendente di Alitalia “in esubero” è costata allo Stato italiano ben oltre un milione di euro e che lo stesso “dipendente pubblico Alitalia” si è trovato a lavorare in un contesto produttivo progettato e gestito per perdere soldi nonostante un mercato, quantomeno prima del marzo 2020, in piena crescita.
Oggi, arrivati alla vigilia della famosa “discontinuità” richiesta dall’Unione europea, dobbiamo purtroppo prendere atto che i nostri decisori tecnici e politici, al di là di qualche residua piccola scaramuccia sul contratto di lavoro, sono ormai sostanzialmente riusciti a portare a termine la chiusura dell’Alitalia e il decollo della piccola ITA, nella quale sono riposte tutte le speranze per la rinascita dell’intero settore industriale.
Rimaste completamente inascoltate le critiche, a volte anche costruttive, che sono state mosse, sin dal 2018, da tutti gli “esperti” senza alcuna eccezione, alle “allegre” gestioni commissariali e alla successiva dirompente e drammatica intesa dei Governi italiani con l’Ue, non resterebbe quindi altro da fare che attendere che la stessa ITA nel giro di pochi anni proceda al diretto riassorbimento e all’indiretto sostentamento delle 35.000/40.000 persone (incluso l’indotto) rimaste senza lavoro. Certamente un’enorme responsabilità!
Noi che, seguendo l’insegnamento cartesiano, siamo portati a dubitare di tutte le facili affermazioni non ben circostanziate, oggi, osserviamo quanto segue:
1) Tutte le aerolinee italiane, che già prima del Covid erano in sofferenza per la bassa competitività dei loro prodotti e la strutturale sotto-patrimonializzazione, sono fallite o sono in estrema difficoltà nonostante i “ristori pubblici”.
2) In Italia circa 13.000 persone (ex Alitalia, Air Italy, ecc.) con consolidati skills aeronautici sono disponibili, a vario titolo, per svolgere attività nella catena del trasporto aereo e sono in qualche modo sostentate dallo Stato tramite Cigs, Naspi e Rdc. Con molta probabilità i sussidi ai lavoratori estromessi dalle aerolinee proseguiranno almeno per i prossimi 3-4 anni, con un impatto sulle casse pubbliche di almeno 2,5/3 miliardi di euro. Soldi che si andrebbero a sommare ai 3,5 miliardi persi dalle Amministrazioni Straordinarie post-Etihad e ai 3 miliardi stanziati per il futuro di ITA. Quindi oltre 9 miliardi di euro in 4 anni che diventano circa 10 se aggiungiamo quanto già erogato dall’Inps e dal Fondo Volo per la Cassa Integrazione.
3) Il sistema turistico italiano presenta sempre maggiori difficoltà a competere con le altre destinazioni europee nell’attrazione dei segmenti stranieri più “ricchi” che, in prevalenza, raggiungono la destinazione della vacanza tramite l’aereo.
4) È opportuno e socialmente necessario garantire in modo strutturale ed efficace alcuni collegamenti che gli operatori aerei nel libero mercato non offrono volontariamente in quanto non remunerativi, soprattutto nella stagione invernale. Ad esempio, le isole minori, la Sardegna, le Marche, ecc.
5) Il progetto minimale di ITA, se escludiamo l’acquisizione del marchio Alitalia, conserva, alla partenza, un unico vero asset che è costituito dal 60% dei permessi di atterraggio e decollo sull’aeroporto di Milano Linate (aeroporto che ha delle limitazione derivanti da un Decreto legge italiano), capaci di “far girare” – in modalità “più protetta” dalla concorrenza delle low cost – al massimo una ventina di aeromobili che rappresentano una dimensione veramente insostenibile per una compagnia aerea che non sia posseduta da una Major. La ragionevole attesa degli operatori è che, non appena il traffico affari di lungo raggio tornerà a livelli pre-Covid (2023 o 2024), la Lufthansa acquisisca da ITA, a prezzi di saldo, soltanto il “ramo aviation Linate” con il quale, in aggiunta all’attuale offerta del Gruppo LH da Torino, Verona, Linate, Venezia, Bologna e altri Scali, potrebbe servire circa il 75/80% della domanda business di lungo raggio del Nord Italia.
6) Quasi tutte le attività di medio raggio di ITA fuori da Linate (altri 25 aeromobili) risulteranno inevitabilmente in perdita strutturale in quanto dovranno purtroppo affrontare direttamente la concorrenza di una Ryanair (e di altre note low cost) che hanno già aumentato significativamente la capacità offerta sul mercato italiano e consuntivano un ricavo medio per il (solo) trasporto del passeggero – ovvero lo stesso business che si accinge a fare ITA – non superiore ai 30/35 euro contro gli 86 della vecchia Alitalia.
7) Anche nel caso in cui ITA acquisisse il marchio Alitalia, la sua dimensione, attuale e prospettica, e l’estrema riduzione delle attività di lungo raggio, non sarebbero coerenti con la necessità ma soprattutto con l’opportunità, per il quinto Paese al mondo per flussi turistici dall’estero, di utilizzare su scala mondiale uno dei più importanti brand che ha a disposizione per pubblicizzare la destinazione Italia all’estero.
Ecco, questo è lo scenario di partenza per una ITA che dovrà presidiare, ricostruire e sviluppare il trasporto aereo in Italia dovendo, in aggiunta alle problematiche sopra esposte, camminare per un sentiero molto stretto a causa dei vincoli imposti dalla DG Competition e dell’impossibilità di ricevere, in quanto impresa pubblica, ulteriori finanziamenti da parte dello Stato italiano. Il settore del trasporto aereo, nel suo complesso, sconterà d’altra parte, ancora una volta, la bassa capacità di attrarre gli investimenti di natura privata.
Da qui sorgono i dubbi sulle strategie dei Decisori.
– Se ITA non realizzasse le previsioni del Piano industriale promesso dal management e asseverato dall’Ue?
– Se le somme autorizzate per ITA dall’Ue (1,35 miliardi) dovessero servire solo a coprire le future perdite e non per fare gli investimenti?
– Esistono iniziative che possono essere attivate sin d’ora come “eventuale piano B” per il rilancio del settore e il riassorbimento anticipato delle 10.000 persone senza lavoro?
– Esistono politiche e strumenti per attrarre il capitale dei privati?
– C’è ancora tempo per invertire la rotta?
Come già accennato, l’Unione europea (DG Competition) ha definito per l’Italia i vincoli e i limiti del progetto ITA e pertanto, pur nell’assenza di una strategia chiara e coerente sia dell’Italia che di ITA, non sembrerebbe opportuno, allo stato attuale, far saltare gli accordi presi in sede Ue e bloccare completamente l’operazione, ma piuttosto sarebbe preferibile ricondurre la stessa ITA a componente di un progetto più ampio.
In detta prospettiva e per grandi linee, di seguito viene descritto un percorso, in parte alternativo, al progetto di totale chiusura delle attività di trasporto aereo di Alitalia e di cessione del marchio Alitalia a ITA [1] .
Come noto, l’Alitalia in AS è stata recentemente obbligata a restituire 900 milioni del prestito ricevuto nel 2017-18 (più gli interessi) in quanto classificato come “Aiuto di Stato”. È altrettanto noto, oltre a presentare una situazione estremamente critica con riferimento al pagamento dei debiti “prededucibili”, non ha risorse liquide disponibili per la restituzione di detto prestito se non quelle prospetticamente rinvenienti dalla cessione degli slot e degli aerei di proprietà a ITA e dalla vendita del marchio Alitalia (trascurando le cessioni di Handling, Maintenance e Millemiglia per ragioni di marginalità economica).
In estrema sintesi, vengono riportati i passaggi politico/tecnici alternativi per la gestione della “crisi” Alitalia:
1) La AZ in AS annulla la gara per la cessione del marchio;
2) Lo Stato italiano riceve, in conto restituzione prestito, il residuo ramo aviation (residuo rispetto a quello disegnato per ITA) tramite una cessione di ramo aziendale, con accordo sindacale anche ai sensi del 2112 cc., contenente: il Certificato di Operatore Aereo (COA) e parti connesse; il marchio Alitalia; tutti gli slot che ITA non può operare per i vincoli europei; 1 o 2 vecchi aerei in leasing; una minima organizzazione operativa atta a garantire un COA che non opera direttamente i servizi aerei, ma mette a disposizione il proprio codice vettore e i propri slot per attività in code-sharing (Vettore Marketing); la piastrina di vendita BSP con codice 055; un piccolo numero di dipendenti che sarà deputato a lavorare per il mantenimento del COA, per il marketing del marchio Alitalia e per le funzioni di auditing operativo e patrimoniale/finanziario dei futuri concessionari del marchio.
3) Il tutto confluisce in una NewCo chiamata Alitalia, al 100% inizialmente di proprietà pubblica e che sarà poi oggetto di quotazione in borsa entro un periodo di tempo da concordare con l’Ue al fine di evitare l’ennesima apertura di procedure di infrazione;
4) la NewCo Alitalia, con garanzia dello Stato italiano, negozia con Boeing e Airbus un accordo quadro con opzioni per acquisto di 300/400 aeromobili (medio e lungo) di nuova generazione a basso impatto ambientale con consegne nei prossimi 3/7 anni ai migliori prezzi negoziati dai grandi vettori.
5) La NewCo Alitalia offre tramite gara pubblica aperta e trasparente a tutti i soggetti privati interessati europei ed extraeuropei (ove possibile) la possibilità di utilizzare il marchio Alitalia, gli eventuali slot disponibili nonché di acquisire le opzioni di acquisto degli aeromobili (prenegoziate con i costruttori) a fronte di: svolgimento di servizi di trasporto aereo o tour operating incoming; svolgimento di servizi di maintenance e handling; svolgimento di altri servizi di interesse nazionale; rispetto on going di prerequisiti economico patrimoniali; rispetto on going di prerequisiti di sicurezza aeronautica; rispetto dei contratti nazionali di lavoro; raggiungimento degli obiettivi prefissati di qualità del servizio offerto; rispetto di paramenti di ecosostenibilità.
Si verrebbe quindi a creare, da una parte, una sorta di holding (NewCo Alitalia) deputata a esprimere e coniugare gli interessi del Paese e, dall’altra parte, l’operatività di alcune imprese private che potrebbero trovare adeguate soddisfazioni economiche, beneficiando della riconoscibilità internazionale data dal marchio Alitalia, dei bassi prezzi di acquisto degli aeromobili e di tutte le sinergie (per esempio nei contratti di fornitura) che lo stesso Sistema Alitalia genererà a loro favore.
A prescindere dai passaggi tecnici, l’ipotesi sopra illustrata potrebbe realizzare un posizionamento dell’industria italiana coerente con le maggiori criticità esposte in premessa in quanto, pur nel rispetto dei dettami Ue circa l’impossibilità per lo Stato italiano di essere imprenditore nel trasporto aereo, consentirebbe allo Stato stesso di poter declinare, in maniera puntuale e concreta le strategie che attengono agli interessi del Paese (in primis occupazione, turismo incoming, ambiente e continuità territoriale).
In particolare, si evidenza che:
1) La NewCo Alitalia non avrebbe i rischi caratteristici del trasporto aereo, ma agirebbe in qualità di mero Franchisor (tipo McDonald o Hertz) che possiede il marchio Alitalia nonché in qualità di aerolinea che detiene alcuni slot e/o diritti di traffico, limitandosi a svolgere alcune azioni di marketing e lasciando (tramite code-sharing) la gestione operativa e la totalità dei rischi economici agli operatori privati che fungerebbero da franchisee (concessionari).
2) La NewCo Alitalia, oltre a definire le strategie e a concordare la gamma dei prodotti (rotte) offerti dai franchisee, potrebbe creare e sviluppare una grande piattaforma online di vendita prodotti turistici italiani all’estero (similmente al progetto della Cathay Pacific) e, su richiesta, offrire ai franchisee anche servizi di tipo corporate o altro.
3) La credibilità internazionale della NewCo Alitalia come concedente (franchisor) passerebbe necessariamente per una quotazione sui mercati regolamentati in quanto il punto di maggiore attenzione da parte dei privati interessati diverrebbe la trasparenza delle gare, la regolarità delle procedure di concessione e soprattutto il loro mantenimento nel tempo, tenuto conto delle aleatorietà e dei rischi esogeni ed endogeni del settore. Lo Stato italiano, in linea di massima, dovrebbe mantenere nella NewCo una quota inferiore al 30% e una Golden Share per garantirsi un ruolo di indirizzo strategico e non gestionale.
4) Lo Stato italiano, tramite la NewCo Alitalia, sarebbe chiamato a definire e implementare una strategia coerente su scala globale di sviluppo del turismo incoming, di incremento dei livelli occupazionali in Italia, di servizio aereo a favore delle comunità più penalizzate geograficamente (continuità territoriale) e altri temi che sono caratteristici dell’interesse nazionale (come, ad esempio, riduzione degli impatti ambientali del trasporto aereo, trasferimenti di persone per calamità naturali, ecc.).
5) La NewCo, sulla base degli interessi pubblici ed economici del Paese, concorrerebbe alla definizione periodica dei piani industriali del “nuovo sistema franchising Alitalia” incluso la revisione periodica dei concessionari del marchio Alitalia e dei relativi vincoli di sicurezza, operativi e ambientali.
6) Gli imprenditori interessati a concorrere al “sistema franchising Alitalia” diverrebbero dei veri e propri concessionari pro-tempore del marchio Alitalia, vincolati dalle regole di ingaggio sopra brevemente descritte. In linea generale per i concessionari privati non vi sarebbero contropartite economiche (costo per l’utilizzo del marchio Alitalia o dell’acquisto delle opzioni degli aerei, ecc.), ma come unica contropartita si richiederebbe ai franchisee (quantomeno fino a quando non si arrivi a una sistemazione delle attuali criticità lavorative del settore) di garantire l’occupazione di parte dei 13.000 dipendenti di cui in premessa. Per esempio, garantendo l’occupazione di un certo numero di persone per ogni rotta che utilizza il marchio Alitalia.
7) ITA potrebbe essere uno dei concessionari della NewCo Alitalia senza essere proprietaria esclusiva del marchio Alitalia; tale circostanza consentirebbe alla stessa ITA di non disperdere, vista l’incertezza delle sue prospettive economiche, importanti risorse finanziarie pubbliche.
[1] Tutte le ipotesi sottostanti devono essere eventualmente approfondite nei termini tecnici/aeronautici e giuridici (norme italiane, europee, antitrust e vincoli imposti dalla DG Competition Ue) e sul piano delle risorse finanziarie (pubbliche e private). La presente proposta non ha la pretesa di essere esaustiva o esclusiva.
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