La vittoria di Conte a Bruxelles solo 48 ore dopo inizia a rivelare dei particolari poco incoraggianti. Anche se c’era da aspettarselo, i 209 miliardi di euro che arriveranno nelle casse dello Stato per sanare la situazione creatasi con il Covid-19 (sanitaria ed economica) hanno un rovescio della medaglia abbastanza inquietante, almeno stando a certi rumors che arrivano dai piani alti.



Diciamocelo bene in faccia: siamo un Paese che attualmente ha circa 30 miliardi di fondi Ue, destinati a varie iniziative, mai spesi e nemmeno, visti i tempi, riciclati verso settori che stanno agonizzando, cosa che sarebbe possibile. Vuoi per le lungaggini di una burocrazia che stenta a morire nel suo colossale e inutile apparato, vuoi per i necessari controlli che, visto anche il presente (e non solo il passato), devono essere organizzati e compiuti dato che la torta dei sussidi fa gola alle mafie, più che necessaria è obbligatoria una riforma che velocizzi certi passaggi e permetta di evitare le figuracce di capitali concessi ma mai toccati per risolvere problematiche importanti.



Insomma, l’Ue vuole metterci il naso e se la cosa si può considerare logica visti i tempi e i colossali investimenti, sorge il dubbio che, al di là di sacrosanti controlli, chi ci vigila (che poi, lo ripetiamo, non è senza peccato) voglia spostarsi un po’ più in là nel pretendere il rispetto delle regole.

Ed è proprio la questione Alitalia che in queste ore rischia di fare da battistrada (un sospetto l’avevamo già citato nell’articolo precedente) a una questione che è poi alla base dei battibecchi Ue dei giorni scorsi: i controlli sono solo tali o diventeranno dei diktat in grado di influenzare le scelte economiche di un Paese sovrano? L’Ue pretende giustamente un taglio netto con il passato di questa telenovela dei cieli, cosa che implica pure la soluzione della problematica bad company che si verrebbe a creare visto il cammino che lo Stato italiano vorrebbe percorrere con i 3 miliardi destinati a un progetto che in teoria potrebbe avere tutti i numeri per un vero rilancio, ma che rischia di rimanere un sogno nel cassetto.



Lufthansa, lo sanno tutti, ha rischiato di chiudere i battenti per la questione Covid-19 sommata ad altre faccende non proprio moralmente ineccepibili: troppa carne al fuoco (con il controllo di compagnie sia in Germania che all’estero) e un monopolio asfissiante sul mercato tedesco, se non fosse intervenuto lo Stato, si sarebbero trasformati in un boomerang in grado di far cadere un colosso dei cieli. I miliardi sono arrivati, Lufthansa è salva (almeno per ora), ma il prezzo da pagare è quello di aver dovuto o di essere in procinto di cedere linee aeree di proprietà (pure all’estero) e anche di dover ridare i soldi allo Stato, che ha, per dettame Ue, considerato l’aiuto un prestito quale in effetti è.

Ricordo che nel 1998 l’allora Alitalia diretta da Domenico Cempella, per poter realizzare pienamente la straordinaria alleanza con Klm uniformando la flotta con il vettore olandese acquisendo dei 747 800, chiese e ottenne dallo Stato un prestito a tasso bancario. Nulla di strano, visto che solo poco tempo prima, per altre ragioni, Iberia aveva ottenuto soldi dallo Stato ma a interessi di favore senza che l’Ue ci mettesse il naso. Invece lo mise, eccome, nella questione italiana e considerò il prestito Alitalia come aiuto di Stato (che non era) imponendo sanzioni talmente gravi da far precipitare la situazione e dare inizio alla via crucis che si è protratta fino ai giorni nostri. In pratica la mossa (incredibilmente supportata pure da certo mondo politico Italiano) segnò la fine del sogno della creazione della più grande compagnia aerea europea, un vero colosso dei cieli, che avrebbe rotto non poco le scatole ad altri vettori.

Il diktat attuale europeo metterebbe i bastoni tra le ruote a un progetto che, stando almeno nelle trionfanti dichiarazioni dei responsabili politici, mirerebbe a creare uno stacco verso un futuro nel quale Alitalia, una volta risolta la sua continuità verso quella di una compagnia non più gravata da macigni finanziari che ne hanno sempre compromesso il volo, possa anche aprirsi e ammettere soci privati, con uno Stato che finalmente, lo abbiamo già scritto, si toglierebbe l’abito di Babbo Natale per mettersi quello, con cravatta, di manager.

Ora la questione si fa ingarbugliata al punto tale che pure il ministro dell’Economia Roberto Gualtieri è preoccupato, dopo aver dichiarato pure lui che l’operazione Alitalia mirava alla creazione di una compagnia di successo. I 3 miliardi di aiuto di Stato, essendo tali, non trovano l’approvazione Ue e la strada dovrà per forza mettersi in salita, anche perché ci sono i 209 miliardi del Recovery fund. Quale potrebbe essere la soluzione? È ovvio: quella di rimpicciolire Alitalia al punto tale che, stringi stringi, il piano di “rilancio” sarebbe poi alla fine imposto dall’Ue stessa che, nella pratica, “potrebbe” controllare attraverso diktat futuri non solo Alitalia, ma tutte le imprese che vedrebbero arrivare i fondi di salvataggio promessi… Insomma, un’ingerenza bella e buona nell’economia di uno Stato membro fondatore dell’Ue che si trasformerebbe in schiavo di altre nazioni che spesso nel passato hanno predicato bene e razzolato malissimo.

Bisogna quindi inventarsi strumenti efficaci di controllo, ma allo stesso tempo pretendere, visto che lo fanno pure altri Paesi quando si toccano interessi nazionali, l’autonomia che dobbiamo avere se vogliamo costruire un’Italia finalmente diversa. Rimediare altre ridicole figure o soluzioni sul modello di Fincantieri nella questione famosissima dei cantieri navali francesi Stx improvvisamente diventati di interesse nazionale dopo essere stati privatizzati, con un fallimento, da un’impresa della Corea del Sud: e se proponessimo la stessa soluzione che Macron tirò fuori dal suo cilindro? Con uno Stato detentore del 51% di un’impresa che presta il 2% a una straniera che alla fine ci mette la sua bella parte di investimenti? Perché no?