Pur se con ritardo è estremamente doveroso ricordarci di Domenico Cempella, l’ex Ad di Alitalia recentemente scomparso: la sua figura non solo ha rappresentato quella di un manager entrato in Alitalia “con i calzoni corti”, ma anche quella di una compagnia aerea che, finalmente governata da manager aeronautici, stava non solo per trasformarsi nella più grande in Europa attraverso l’alleanza con l’olandese Klm, fatto da noi rimarcato più volte, ma anche in un modello che, non fosse stato affossato da una politica e un sindacato che stanno purtroppo ripetendo lo stesso refrain ora, avrebbe rappresentato un fatto che probabilmente, se continuato, sarebbe riuscito a sviluppare molte realtà industriali italiane e a salvarle dai fallimenti che successivamente le hanno portate alla sparizione o alla gestione da parte di entità straniere. Stiamo parlando dell’azionariato ai dipendenti, una mossa che, rendendoli partecipi dell’azienda, li avrebbe sicuramente portati a una partecipazione più attiva nella vita delle loro entità lavorative.



Ma tant’è, in Italia le figure innovative non hanno mai avuto vita facile, basti pensare a quella di Adriano Olivetti, che anticipò di lustri quella di Steve Jobs, ma che purtroppo aveva intorno a sé un mondo politico che nella pratica lo fece fuori, e con lui naufragò la possibilità di un’industria informatica all’avanguardia al mondo, visto che il primo pc portatile, l’M101, venne presentato proprio da Olivetti nel 1966 all’esposizione mondiale di New York.



Ma tant’è, forse Cempella avrebbe provato un dolore grandissimo nel vedere la sua amata Alitalia sparire, anche se nel corso degli anni le sue dichiarazioni lo avevano sentenziato. E sempre per i soliti motivi, quelli di una politica incapace di costruire un sistema Paese e di un sindacato ridotto ormai a gestore di interessi che ben poco hanno a che vedere con esso. Insomma, come dicevamo tempo fa, ormai il limite del baratro è stato superato e bisogna pure prendere provvedimenti urgenti, perché altrimenti rischiamo di perdere quel poco di potere rimasto nel trasporto aereo.

Ricordiamo che, per molti vettori europei, quello italiano è il secondo traffico per volume dopo quello delle loro nazioni: già nel 1998 l’Ue impedì al megavettore Alitalia di poter decollare attraverso misure create dalla “doppia morale” europea dove provvedimenti, pardon diktat, presi nei confronti dell’Italia per supposte violazioni venivano “sorvolati” per altre compagnie che avevano anche adottato misure più voluminose delle nostre. Ma allora la cosiddetta Unione aveva trovato una sponda gigantesca nella politica italiana: per approfondire ciò vi invito a vedere la puntata dedicata ad Alitalia dalla trasmissione Rai “La storia siamo noi” del 2006, dove lo stesso Cempella ripercorre quella vicenda. È lapalissiano ritrovarsi, dopo 23 anni, nella stessissima situazione, dove le autorità europee stanno arrivando a minacciare l’ente che gestisce il trasporto aereo italiano (Enac) perché considera “aiuti di Stato” pure i ristori che Alitalia ottiene e che servono per pagare gli stipendi dei lavoratori. 



Una vicenda in questi toni è talmente evidente nei suoi contenuti lobbistici da far pensare (e molto) su cosa sia veramente una Unione che sembra distare mille miglia dal Manifesto di Ventotene del 1943 che ne pose le basi. Anche perché questa ulteriore manovra è stata in pratica inventata da una denuncia del Codacons assolutamente incredibile, soprattutto se calcoliamo che la stessa entità ha emesso lo stesso giorno un altro comunicato in cui loda in maniera sperticata il vettore low cost Ryanair. In pratica abbiamo capito che l’Italia non potrà gestire un settore per lei importantissimo (il trasporto aereo) che andrà invece in pasto di vettori che, come nel 1998, se ne fregano abbondantemente delle regole e sono sovvenzionati dai loro Stati o da linee aeree low cost che invece lo sono da Comuni e Province italiane.

A questo punto la risposta spetta non solo al Governo, ma anche ai lavoratori di Alitalia, che invece pretenderebbero una compagnia ben gestita e in grado di sfruttare tutto il suo potenziale. L’operazione ITA, almeno per come si vede dalle diverse congetture, è fallimentare e non rappresenta altro che una soluzione ancellare, oltretutto impossibile da creare, visto che non rispetta 110 regole Ue, come sostenuto dal manager Gaetano Intrieri pure su IlSussidiario. Non rimane altro che un referendum che i sindacati devono indire urgentemente sulla spinosa questione, anche perché un piano B, lo si è visto, è possibile e non violerebbe nulla: a quel punto però si dovrebbe mettere la parola fine sulle classiche litigate italiane (e sindacali, per l’appunto) e proseguire tutti uniti verso una soluzione che possa far risorgere un vettore.

C’è poi da considerare la marea incredibile di “esperti” (almeno così si definiscono) che sparano a zero su Alitalia e i suoi dipendenti senza preoccuparsi minimamente di fare quello che dovrebbe essere eseguito prima di scrivere: informarsi. Però molti personaggi di questo genere sono spesso invitati a varie trasmissioni televisive, dove portano il loro “sapere” un tot al chilo e mietono successo nel creare dei falsi bersagli che permettono alla gente di arrabbiarsi e invocare ghigliottine.

Basti pensare che solo in Italia le low cost hanno una penetrazione notevole, superiore a quella delle compagnie nazionali, per il semplice fatto che in altri Paesi non possono operare perché non arrivano aiuti dallo Stato sotto forma di contributi comunali o provinciali che, alla fine, permettono prezzi assolutamente competitivi… Peccato però che i soldi li scuce anche chi non utilizza mai l’aereo attraverso fiumi di tasse che vengono date a società con sedi in paradisi fiscali e non producono nessun vantaggio al Paese, oltretutto violando in forma costante le leggi sul lavoro.

Mentre dall’altra parte si riversa odio e si pretende cancellare una Alitalia che, lo ripetiamo per la millesima volta, se ben gestita accumulerebbe e distribuirebbe ricchezze nel Paese (nel 2019 ha prodotto, pur nelle attuali condizioni, 3 miliardi e mezzo di fatturato, notevoli contributi Irpef e una compagnia giudicata la migliore per puntualità e servizi di bordo), specie calcolando che sarebbe sicuramente un brand allettante per gli oltre 220 milioni di italici sparsi nel mondo. La cifra è tratta dall’interessante libro di Piero Bassetti (“Svegliamoci Italici”) che punta a questa massa esistente nel mondo per un futuro che lui stesso definisce “Glocal” che l’Italia, se ben amministrata e in mani di persone capaci nei vari settori, potrebbe avere in una sfida che, al momento, paiono capire solo alcune nazioni, che da anni si spartiscono ricchezze che noi sappiamo solo disprezzare e gestire con un’ignoranza pari alla genialità che non vogliamo sfruttare. 

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