L’errore principale compiuto nella gestione della crisi di Alitalia è stato e resta tuttora la credenza che si possa indovinare la terapia corretta senza aver primo provveduto a un’accurata diagnosi dello stato del paziente. Alitalia ha vissuto nell’ultimo quindicennio un susseguirsi di episodi di crisi: nel 2004, nel 2008, nel 2014 e nel 2017. In occasione di questi eventi si è sempre ritenuto che la soluzione fosse l’individuazione di un assetto azionario che provvedesse ad attuare una terapia, definita in via esclusiva sotto forma di piani d’impresa. In nessuna occasione, compresa quella in corso, l’elaborazione della terapia è stata preceduta da una diagnosi accurata delle cause della crisi. È tuttavia impensabile che una terapia indipendente dalla diagnosi, dunque una cura a caso, possa risultare coerente ed efficace. Alitalia è stata sottoposta nell’ultimo ventennio a una serie di cure a caso le quali sono tutte prevedibilmente fallite.



Noi riteniamo che l’ipotesi Lufthansa, o meglio la cura Lufthansa di cui si sta parlando in questi giorni, sia l’ennesima cura a caso, con la variante che in essa gli effetti collaterali sono tutti anticipatamente visibili nella loro insostenibile gravità. Non possiamo permetterci di “nazionalizzare” migliaia di esuberi per creare l’Alipiccola che piace a Lufthansa.



Il segreto del successo di Lufthansa, generalizzabile tuttavia agli altri grandi gruppi europei, non consiste nel fatto che operano con costi unitari inferiori ad Alitalia. Essi operano in mercati nazionali in cui detengono una quota di mercato ancora consistente, in cui i vettori low cost da essi non posseduti hanno una quota di mercato ancora contenuta e non hanno accesso ai loro hub, i cui slot sono blindati. Grazie pertanto al minor grado di concorrenza essi possono contare su yield maggiori che in Italia e maggiori dei loro costi unitari. Alitalia ha costi unitari inferiori a Lufthansa, ancorché distanti da quelli ottimali, ma più elevati dei proventi unitari, e pertanto è in perdita. Alitalia coi suoi costi e gli yield di Lufthansa sarebbe in utile, invece Lufthansa coi suoi costi ma con gli yield di Alitalia sarebbe in grave perdita.



In un’audizione parlamentare di maggio 2018 i commissari hanno indicato in 6,9 eurocent per passeggero km il provento unitario di Alitalia tanto nell’anno 2017 quanto nel precedente. Per il 2017 il bilancio consolidato del gruppo Lufthansa riporta per l’insieme dei suoi vettori network ricavi passeggeri per 23,3 miliardi di euro a fronte di 218,5 miliardi di km volati. Questi dati danno luogo a un provento unitario di 10,7 eurocent per passeggero km. In sostanza per un passeggero che vola mille km i vettori del gruppo Lufthansa hanno incassato nel 2017 mediamente 107 euro, mentre Alitalia solo 69. Questa differenza spiega moltissime cose. Si può stimare che se i passeggeri sui cieli italiani di quell’anno avessero volato ai prezzi medi tedeschi avrebbero speso complessivamente in più 3,5 miliardi, una cifra pari a cinque volte la perdita di Alitalia. Una parte di essi avrebbe colmato la perdita di Alitalia.

È evidente che nessuna compagine azionaria è in grado da sola di curare il malato Alitalia; in conseguenza non esiste alcuna soluzione di mercato che possa ottenerne la sostenibilità economica.

Dall’analisi sin qui svolta emerge la necessità di una fase transitoria nella quale lo Stato si impegni a ridisegnare in maniera razionale le regole e le condizioni di sistema del trasporto aereo. Occorre livellare il campo da gioco per ottenere un’equa competizione tra i vettori in gara e garantire una sostenibilità di mercato anche per Alitalia. In questa fase, se non si vuole rinunciare al vettore, bisogna anche garantirne la continuità operativa, contenendone le perdite sino al momento in cui sia realizzabile la sua sostenibilità economica e si possa in conseguenza ipotizzare un nuovo ingresso, e con prospettive molto diverse dal passato, di capitali privati.

Questa fase della gestione del vettore non può evidentemente essere curata ulteriormente dal solo commissario straordinario e non può ancora essere curata da soggetti privati, i quali potranno essere attratti solo da prospettive di redditività. Pertanto si ravvisa la necessità di una nuova e differente gestione pubblica, separata dalla gestione commissariale del pregresso, avente carattere temporaneo e che possa avviare ristrutturazione e rilancio dell’impresa adeguandola alle odierne condizioni indispensabili per stare sul mercato.

A nostro avviso è utile per realizzare questo scopo la creazione di una newco già all’interno della gestione commissariale. Questa newco potrebbe essere trasferita inoltre allo Stato a rimborso per quanto possibile dei consistenti prestiti conferiti, in modo da chiudere il contenzioso con la Commissione europea. La nuova fase di gestione pubblica dovrebbe inoltre seguire rigidamente i binari delle linee guida europee sugli aiuti di Stato e ottenere il via libera a un nuovo ragionevole piano d’impresa.

Si tratta in sostanza di nazionalizzare pro tempore l’azienda per non nazionalizzare per sempre migliaia di esuberi.

Testo estratto dall’audizione alla commissione Trasporti della Camera del 17/12/2019