Nella giornata di ieri si è concluso con “successo” il negoziato tra la commissaria alla Concorrenza Margrethe Vestager e il ministro per lo Sviluppo economico Giancarlo Giorgetti. Tuttavia, i parametri atti a garantire la discontinuità economica tra Alitalia e ITA potrebbero comportare effetti devastanti sulla possibile partenza effettiva della new-co. 



Secondo il ministro Giorgetti c’è stato un “passo in avanti, ma ci sono ancora tanti altri temi tecnici”. Infatti, su Alitalia si attende ancora il verdetto in merito a due indagini per aiuti di Stato pari a 1,3 miliardi di euro, concessi nei primi due anni di gestione straordinaria rispettivamente per 400 e 900 milioni di euro.



La rotta che si sta seguendo prevede una partenza parziale, al fine di garantire l’operatività nei mesi estivi, in agosto, con la sola vendita di biglietti per conto di Alitalia. Quest’ultima si occuperà della gestione dei voli, successivamente la nuova compagnia dovrebbe decollare anche sul piano operativo. Occorre dunque analizzare i parametri chiave discussi e decisi a seguito della conclusione del negoziato, per comprendere l’irrazionalità di certe scelte manageriali ma anche governative. 

Risulta infatti messo in campo un vettore aeroportuale ridotto all’osso, cosi piccolo da non poter competere né con i vettori low cost, né con quelli tradizionali. Sembra, in buona sostanza, di rivivere un recente passato, una sorta di deja-vu pensando ai ridimensionamenti degli anni 2000 o al Piano Fenice del 2009. 



Con il Piano Fenice, si era effettuata una riduzione complessiva della flotta pari al 40% con l’obiettivo di concentrarsi sul breve raggio. I ricavi complessivi attesi ammontavano sino a 3,9 miliardi di euro; tuttavia, i ricavi a consuntivo non superarono i 2,9 miliardi di euro con una perdita netta pari a 326 milioni di euro. 

Nell’attuale ridimensionamento, la nuova compagnia lascerà dietro di sé ben sei mila esuberi a fronte di un organico estremamente ridotto pari a 4.500 unità e procedendo a nuovi contratti, con salari ridotti. Inoltre, la flotta sarà anch’essa più che dimezzata, con un ammontare di aeromobili compreso tra le 45 e le 50 unità. Quest’ultimi saranno rilevati dalla vecchia Alitalia, tenendo a mente non solo l’elevata età media degli aeromobili, ma anche la presenza di pochissimi aerei a lungo raggio. Del tutto ragionevolmente ci si può dunque chiedere come possa un vettore con una flotta cosi ridotta competere con vettori low cost come Ryanair, che ha oltre 300 aeromobili (età media 5,5 anni), senza contare la previsione societaria di superare le 520 unità prima del 2024.

È stato imposto, inoltre, ai commissari straordinari di Alitalia di mettere a gara non solo il marchio, il quale rappresenta uno degli asset intangibili più preziosi della compagnia, ma anche i servizi di handling (servizi di assistenza a terra) e di manutenzione. Alla futura asta può facilmente immaginarsi la presenza di numerose compagnie concorrenti, pronte a far pagare caro il vecchio brand e i vari servizi. Secondo le stime, solo il marchio e i codici di volo a cui sono associati i vari slot aeroportuali ammontano a un valore di 145 milioni di euro, risultando cosi prevedibile un vero e proprio “bagno di sangue” per i conti pubblici. 

Ancora una volta, si riesce a garantire un vantaggio competitivo alle compagnie concorrenti sul mercato domestico italiano. ITA dovrà lasciare alla concorrenza oltre metà degli slot aeroportuali a Fiumicino, a cui si aggiungono quelli a Milano Linate pari al 15% di tutti gli slot presenti nell’aeroporto cittadino. Al contrario del 2009, anno di attuazione del Piano Fenice, non sarà permesso alla new-co di procedere all’acquisizione del 100% degli slot della vecchia Alitalia a fronte di una capacità di offerta inferiore alla metà; evento che aveva permesso ad Alitalia-CAI lo sviluppo di una sorta di monopolio nel mercato nazionale.

Il maggiore problema è rappresentato dalla mancanza reale di fondi: dei 3 miliardi pubblici messi a disposizione, 1,35 verranno utilizzati per la capitalizzazione della società mentre è prevista una prima tranche per avere la licenza d’esercizio pari a 700 milioni. 

Proprio su quest’ultimo fronte, emergono le maggiori perplessità, dovendosi segnalare la mancanza di possesso del certificato di volo e della licenza di esercizio. Difatti, la relativa procedura di rilascio, che vede come controparte Enac, è lunga e laboriosa. Le tempistiche necessarie per il rilascio del Coa (Certificato di operatore aereo) possono durare dai tre ai sei mesi visti i numerosi controlli in merito agli aspetti tecnico operativi. Oltre al certificato, risulta obbligatorio il possesso della licenza d’esercizio, anch’essa rilasciata dall’Enac, ottenibile sulla base del rispetto di determinati requisiti giuridici ed economico/finanziari.

Occorre inoltre evidenziare la mancata volontà del management di procedere a un cambiamento nel business model “hub and spoke”, fattore che rende ancora più complessa la possibilità di una competizione tra un vettore full-service e un vettore low cost, dato che quest’ultimo opera secondo un modello point-to-point utilizzando principalmente aeroporti secondari.

Una compagnia priva di alcuna speranza, senza un piano industriale dotato di credibilità e, dunque, destinata al fallimento nel breve periodo. Tuttavia, tale decisioni apparirebbero meno insensate nell’ottica di una cessione a un grande vettore internazionale; in questo modo sarebbe più facile individuare un acquirente per entrambe le società, smembrando la precedente in due strutture distinte. 

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