“Salirei a bordo di Alitalia non una, ma mille volte. Direi tutte le mattine. Questo è il lavoro che ho scelto”. Queste sono parole pronunciate da Fabio Lazzerini, attuale Amministratore delegato di fresca nomina di Alitalia, quando lo scorso anno assunse la direzione commerciale della compagnia. È indubbio che quella di un manager interno e di Francesco Caio (ex Saipem e Poste Italiane) alla Presidenza costituiscono una scelta ponderata (forse un pochino troppo), ma indubbiamente giusta per far ripartire la nostra cara (in tutti i sensi) Alitalia.



C’è da dire che chi prenderà il timone sarà finalmente un marinaio esperto e non improvvisato, fatto che nel passato è costato carissimo non solo ad Alitalia (per le continue defaillances, vabbè… disastri), ma anche ai contribuenti italiani, visto che lo Stato ci ha sempre dovuto mettere una pezza per salvare situazioni che hanno abbondantemente superato i limiti della metafisica.



Una volta mi capitò, durante una chiacchierata (una delle tante) che per un certo tempo quasi quotidianamente avevo con manager Alitalia dell’epoca, che uno di loro mi confessasse, alla vigilia delle sue dimissioni, di esserne seriamente dispiaciuto perché da poco era riuscito a capire totalmente il settore in cui lavorava. È ovvio che la persona non fosse ignorante, ma aveva tratto una conclusione altamente logica: il trasporto aereo, difatti, è un settore estremamente semplice nella sua complessità, si potrebbe dire per assurdo, per una serie di ragioni che lo rendono estremamente interessante al punto di innamorartene. Anzitutto perché ti obbliga a incamerare diverse culture (tecnica, finanziaria, sociopolitica ad esempio) che lo compongono e poi perché non c’è mai nulla di sicuro nei suoi assetti e le variabili cambiano spesso alla velocità della luce, per cui bisogna sapere adattarsi in un battibaleno alle nuove situazioni e affrontarle.



C’è poi da considerare pure l’aspetto multiculturale, sommato a quello di uno dei settori con un profondo know-how che investe ogni addetto ai lavori. Una volta un manager Lufthansa (quello per intenderci dalla doppia morale alla tedesca già citato in altri articoli) mi confessò che in caso di crisi l’ultima decisione che avrebbe preso per affrontarla, cercando di evitarla a ogni costo, sarebbe stata quella di licenziare il personale. Ma più in là delle ragioni etiche (era un essere umano pure lui) quello che lo spingeva a opporsi il più possibile era il fatto che il costo di ogni addetto per la sua preparazione al settore era (ed è) altissimo.

Giova forse ricordare che l’ultimo bilancio positivo per Alitalia si registrò quando l’Ad era Domenico Cempella, uno che in Alitalia era entrato con i calzoni corti, come amava definirsi: e non è un mero caso che se le decisioni che lui prese alla fine degli anni Novanta non fossero state ostacolate politicamente oggi Alitalia sarebbe ad altri, altissimi livelli.

Ecco, visto che la politica ha adottato finalmente una decisione interna, ora cortesemente ci faccia il piacere di togliere il disturbo e allontanarsi anni luce dalla cloche di comando, lasciando che siano i piloti a guidare questo difficile volo: in ballo c’è parte del futuro di un’Italia che ha una gran voglia di crescere e tornare agli alti livelli che sembrano ormai appartenere solo ai ricordi. Per far questo ha bisogno sopratutto di cultura e di persone in grado di divulgarla come il bene prezioso che può dar vita a un piccolo Rinascimento ancora possibile, perché le risorse le abbiamo sempre avute ma mai sfruttate. Quindi, per favore, lasciamo l’ignoranza fuori e torniamo a costruire, pure con i necessari sacrifici, quel modello di Paese che siamo riusciti a distruggere.

Questo è un nuovo 1946 ed è l’unica eredità positiva che ci lascerà il Covid… averci svegliati dal torpore per riprenderci quello che ci spetta: la libertà e il benessere comune.

Alitalia docet? Speriamo!