Con la nomina di Alfredo Altavilla a Presidente di ITA si apre uno spiraglio francamente poco decifrabile in una situazione altrettanto francamente ignota. In primis perché, nonostante le roboanti dichiarazioni di accordi con l’Ue puntualmente seguite da numeri inerenti flotta, rotte e licenziamenti di personale (ma mai confermati) si è creata una situazione che viene da sempre definita di “sviluppo” di Alitalia e rischia di mandare ai matti Pirandello, Borges, Kafka e Giulio Verne contemporaneamente per l’evidente distonia lessicale (come si può parlare di sviluppo comunicando solo tagli?); poi perché analizzando il curriculum del nuovo dirigente vien da pensare definitivamente dove sia finita la logica nel Bel Paese.
Altavilla è un ex manager della FCA e direttamente braccio destro o uomo di fiducia di Sergio Marchionne, ergo quel dirigente, scomparso nel 2018, che prese una Fiat ridotta al lumicino e con colpi di genialità a seguire la trasformò in un gigante globale a guida italiana. Ma purtroppo, come sempre capita nel Bel Paese, di geni ne produciamo a iosa ma siamo maestri nel distruggerne l’operato in un battibaleno al punto che, ormai con Marchionne in condizione di salute gravissime e avendo designato Altavilla a suo successore, il nipotino Agnelli John Elkann comunicò all’erede che non poteva proseguire nella via tracciata da Marchionne, provocando una rabbia tale nel dirigente da portarlo a dimettersi seduta stante.
E così il sogno di una Fiat leader di mercato si infranse nella società che venne successivamente realizzata con la francese PSA (Stellantis), che in pratica, detenendone la maggioranza, ha di fatto tolto la storica marca italiana dal mondo dell’automobile, ridotta a essere l’ancella dei transalpini. Vi ricorda qualcosa questo fatto?
Bene, ma siamo arrivati al punto che il liquidatore della più grande industria italiana è stato insignito dal Presidente Mattarella con il titolo di Cavaliere del lavoro, al pari di un altro liquidatore, Luigi Giubitosi: ma non è tutto. Ecco due giorni fa apparire l’elezione di Altavilla a Presidente di ITA, cosa che in parole povere mette al timone di questa compagnia fantasma (per ora e chissà per quanto) un personaggio validissimo sì, ma strenuo sostenitore del nostro Paese e della nostra economia in un’entità che quasi sicuramente finirà per essere ancellare, regalando a competitors stranieri il traffico aereo e merci di una nazione a forte vocazione sia turistica che industriale (almeno fino a quando l’intreccio con la politica distrugge quanto prodotto da singole entità).
Che c’azzecca Altavilla in questo ambito? Di certo molto se si vuole creare un vettore veramente nazionale che, se ben diretto, può ancora esprimere il suo grande potenziale, ma il rischio è che, vista la situazione attuale che è sotto gli occhi di tutti e che può essere tranquillamente osservata recandosi in zona hangar a Fiumicino, con la flotta Alitalia in gran parata (modello 2 giugno) e pochi aerei in servizio ma con vettori low cost che invece si stanno appropriando del traffico aereo non solo nazionale finanziati da società aeroportuali, Comuni e Regioni (ergo Stato italiano) si finisca con non capirci più nulla e ci si chieda quando finirà il calvario di una politica ignorante nei confronti di questa storica aerolinea nazionale.
Qualche settimana fa il nostro esimio Presidente della Repubblica aveva giustamente parlato di come l’Italia possieda da anni una sorta di Commonwealth che non si può ovviamente definire un potere politico a livello dell’inglese (o britannico che dir si voglia), ma che sicuramente è in possesso di un potere culturale grandissimo che, se ben gestito da una nazione con un sistema-Paese degno di questo nome, non farebbe fatica a trasformarsi in economico e commerciale.
Insomma, ritorniamo al pensiero di una glocalizzazione tanto caro a Piero Bassetti e altri studiosi nostrani che dalla fine degli anni Novanta lo avevano predetto, studiato e analizzato. Parliamo di circa 260 milioni di italici che, pur se spesso non italiani di fatto, operano con una mentalità nostrana come frutto non solo della nostra gigantesca emigrazione, ma anche della conquista che diversi marchi italiani, la nostra invidiatissima cultura e la nostra storia hanno dato al mondo.
Questo bel mercato potrebbe costituire un trampolino di lancio, pardon di rilancio, incredibile specie dopo che la tempesta sanitaria dovuta al Covid-19 che ha di fatto modificato non solo il panorama mondiale ma pure certe regole. Insomma, quel tanto propagandato secondo Rinascimento potrebbe realizzarsi con una politica alleata del sistema-Paese: ma proprio la questione Alitalia costituisce uno degli esempi più eclatanti di come l’Italia cammini in una logica completamente diversa da altre nazioni, e cioè (Fiat docet) che siamo lontanissimi da un pensiero che per primi abbiamo capito, studiato ma mai applicato. Quello della costruzione di opportunità che possano sfruttare il mercato di cui sopra, lasciandolo agli altri e distruggendolo con le nostre stesse mani.
E questo, lo ripeto fino alla noia, proprio Alitalia lo dimostrò nel 1998 quando l’allora AD Cempella aveva messo in piedi un sistema (alleanza con Klm) che avrebbe portato Alitalia a essere la prima compagnia aerea europea. Ma pure lì interessi di altri Paesi Ue, uniti a una politica nostrana assolutamente cieca, distrussero quel sogno, che mai si è potuto realizzare in un calvario arrivato fino a oggi proprio a causa di una politica che ha poi saputo creare un esempio unico in Europa: quello di una compagnia aerea low cost che attraverso un sistema di co-marketing aiutato pure da sgravi fiscali onerosi viaggia a spese in pratica dello Stato e a breve avrà il monopolio delle rotte nazionali e internazionali.
L’esultanza della Sindaca di Torino Appennino nel comunicare la notizia di Ryanair che ha aperto una base nella capitale piemontese (da cui partì la creazione della nostra nazione) costituisce il fulgido esempio di come ormai l’Italia stia spegnendosi come Paese e davvero, visto che ancora si sa poco o nulla di certo nell’intera questione Alitalia-ITA, c’è da sperare che il nuovo Presidente possa in qualche modo operare per salvare in extremis un altro pezzo della nostra storia.
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