Almeno sino alla Rivoluzione francese la legge era la trascrizione della volontà di quel momento del sovrano assoluto verso i suoi sudditi e non vincolava il Re. In epoca contemporanea, tuttavia, le democrazie rappresentative si sono affidate al potere legal-razionale, basato su leggi razionalmente stabilite, approvate dai Parlamenti e vincolanti anche verso i Governi. Esse permettono ai cittadini subordinati di verificare la legittimità dell’applicazione e la coerenza delle norme con quelle di livello superiore, quali i principi costituzionali.



Questa è la teoria rispetto alla quale tuttavia la prassi non sempre è conforme. Max Weber, che ne è stato il principale studioso, avrebbe da ridire se leggesse l’inflazione normativa prodotta in questi mesi dal legislatore per garantire l’attuazione della volontà del nuovo vettore pubblico ITA. Tuttavia l’autore governativo delle norme è incorso in un paradosso, che nel precedente intervento abbiamo chiamato “paradosso del legislatore teleologico”: come si può scrivere una norma specifica per conseguire un risultato predeterminato, la partenza di ITA grazie agli asset ceduti da Alitalia, se quel risultato dovrebbe invece scaturire liberamente da una procedura prefissata e neutra, una vendita tramite gara da parte dell’amministrazione straordinaria, che ha lo scopo di non predeterminare alcun risultato se non la massimizzazione del ricavo in favore dei creditori incagliati nell’insolvenza?



In sostanza, se le regole esistenti riguardano solo come si deve svolgere un gioco, il cui esito dipende dal libero agire degli attori nel rispetto di quelle regole, come si fa anche a predeterminare il risultato? La risposta è che non si può, salvo sacrificare le regole procedurali sull’altare del risultato. Non si può infatti decidere chi vince la competizione e salvaguardare nello stesso tempo la neutralità degli arbitri. Ma le regole procedurali generali si possono disapplicare in un caso specifico tramite norme ad hoc, violando il principio dell’eguaglianza giuridica dei soggetti di fronte alla legge? In un sistema di “Rule of law” e in un Paese in cui vige l’art 3 della Costituzione la risposta è ovvia ed è anche negativa. Detto questo non ci resta che esaminare in dettaglio la stratificazione delle norme che si sono affastellate nel tempo sul tema in oggetto.



Chi valuta il piano industriale di ITA? E, soprattutto, quale piano?

La nuova compagnia pubblica di trasporto aereo ITA è nata giuridicamente con l’art. 79 del decreto legge n. 18 del 2020 il quale ha anche stabilito al comma 4-bis che la newco predisponesse “un piano industriale di sviluppo e ampliamento dell’offertada sottoporre all’approvazione sia delle Commissioni parlamentari competenti per settore che della Direzione Concorrenza della Commissione europea. La nuova azienda ha adempiuto nei tempi previsti e trasmesso il piano nella seconda metà di dicembre dello scorso anno. Le due Commissioni si sono espresse in senso favorevole tra fine febbraio e inizio marzo di quest’anno mentre la Commissione Ue manifestava già a inizio gennaio una molteplicità di osservazioni critiche. A seguito di esse vi è stata una complessa trattativa che si è chiusa solo il 15 luglio con l’inserimento nel piano dei molteplici paletti imposti dall’Unione e che ha portato al definitivo via libera comunitario il 10 settembre. Tuttavia, la versione finale del piano, radicalmente modificata, non è stata trasmessa alle Commissioni parlamentari, che sono tenute a esprimersi su di esso, ma che sinora lo hanno fatto solo sulla sua primissima versione, completamente differente.

Il piano non è stato tuttavia modificato solo per recepire le richieste europee ma anche per scelte autonome dell’azienda, posteriori al via libera parlamentare. Le sue caratteristiche attuali non sono note. ma ne sono evidenti alcune discrepanze maggiori: ad esempio, la versione approvata dalle Commissioni prevedeva un numero di dipendenti nell’anno 2021 pari a 5.200-5.500 unità, mentre quelli ora previsti si sono ridotti a soli 2.800; inoltre, mentre nella versione iniziale il ridimensionamento rispetto ad Alitalia, necessario per il passaggio da una flotta di oltre 110 velivoli a soli 52, risultava equilibrato tra i due aeroporti principali di Fiumicino e Linate, ora in base all’offerta che è già stata messa in vendita quasi tutta la riduzione è realizzata su Fiumicino, con gravi conseguenze economiche e occupazionali sulle città di Roma e Fiumicino e sul Lazio in generale. Chi ha autorizzato queste modifiche? E, soprattutto, chi ha visto il piano finale?

I commissari straordinari di Alitalia come aiutanti domestici di ITA

Se il problema della ricordata norma del 2020 è principalmente il suo rispetto sostanziale, è invece con le norme su misura di ITA, contenute nel decreto legge 99 di fine giugno, che il legislatore teleologico si manifesta in tutta la sua ingenua volontà di risultato. L’art. 6 del decreto stabilisce infatti che i commissari straordinari di Alitalia provvedono “anche mediante trattativa privata, al trasferimento, alla (nuova) società(…) dei complessi aziendali individuati nel (suo) piano“. Essi inoltre “pongono in essere le ulteriori procedure necessarie per l’esecuzione del piano industriale medesimo“. Ecco dunque l’individuazione del risultato desiderato: i commissari, che in base al diritto delle crisi d’impresa dovrebbero massimizzare i proventi della cessione di attività produttive funzionanti nell’interesse dei creditori, sono invece obbligati a vendere a ITA perché questo vuole il legislatore. Ma ITA non doveva essere in totale discontinuità con Alitalia secondo la volontà dell’Unione europea? E come si concilia questa esigenza con la continuità resa invece obbligata dalla norma alla stregua di una staffetta olimpica? Inoltre, se i commissari sono obbligati a vendere a un compratore predeterminato come possono massimizzare i proventi? Avevo già sollevato questa problematica in un contributo su lavoce.info del 26 luglio, scrivendo tra l’altro: “Secondo le nuove norme è ITA che decide quali cose prendersi da Alitalia, avendo Alitalia l’obbligo di cederle. E il prezzo chi lo decide? ITA? E se propone un euro simbolico cosa succede? E, inoltre, se il cherry picking di ITA rende difficilmente vendibili gli asset residuali oppure ne riduce il valore di cessione, che cosa possono fare i commissari di Alitalia?“.

La cosa paradossale è che il prezzo proposto da ITA per gli asset che essa ha liberamente scelto di prendersi sarebbe proprio di un euro, come scritto da numerosi giornali una decina di giorni fa tra i quali anche Il Sole 24 Ore. Con le norme prima ricordate l’amministrazione straordinaria si trasforma, da controparte di un potenziale acquirente parziale dei suoi asset, in esecutore subordinato dei suoi piani, in sostanza una sorta di Colf. La motivazione addotta dal legislatore è che questi piani avrebbero ricevuto l’imprimatur della Commissione europea. Ma la Commissione ha solo definito le caratteristiche che ITA può avere senza risultare in continuità con Alitalia, né beneficiaria di aiuti di Stato. Ha dunque stabilito che ITA possa essere realizzata, ma, in nessun modo, che debba esserlo. Questa è una scelta esclusivamente interna, non addebitabile in alcun modo alla Commissione la cui decisione è solo autorizzativa e certo non prescrittiva. Di fare l’ITA non ce lo chiede l’Europa.

Che l’articolo 6 metta l’amministrazione straordinaria di Alitalia al servizio di ITA trova conferma in altre sue disposizioni: “Sono revocate le procedure (di cessione) in corso (…) che risultino incompatibili con il piano (di ITA) integrato o modificato tenendo conto della decisione della Commissione.” In sostanza ubi maior, cioè ITA, minor cessat, cioè coloro che hanno manifestato interesse ad acquistare asset prima che ITA fosse creata. Peraltro ITA se fosse già esistita ai tempi del bando dei commissari non avrebbe potuto partecipare al medesimo in quanto priva dei requisiti richiesti. E se i partecipanti a quel bando erano disponibili a pagare più di ITA, a prendersi un perimetro aziendale maggiore, a farsi carico di più dipendenti? Inoltre, seguendo sempre la norma, “i commissari straordinari provvedono alla modifica del programma della procedura di amministrazione straordinaria al fine di adeguarlo alla decisione della Commissione europea“, che tuttavia, lo ricordiamo ancora una volta, riguarda solo ciò che l’Italia può fare e non ciò che deve.

Il legislatore teleologico si accorge di aver scordato i coperchi normativi

Il decreto legge 99 del 30 giugno 2021 è inglobato nel precedente decreto n. 73 al fine di giungere più prontamente ad approvazione in Parlamento. La relativa legge, del 23 luglio, è pubblicata in Gazzetta Ufficiale ed entra in vigore il 25 luglio. Passano neppure cinque settimane e il legislatore teleologico si accorge che queste norme sono pentole senza coperchi. In conseguenza nel Consiglio dei ministri del 3 settembre sono approvate nuove norme, modificative delle precedenti, ma esse non arriveranno mai a essere scritte in Gazzetta in un decreto legge, risultando obsolete ancora prima di vedere la luce. Che il legislatore teleologico si sia accorto che i suoi coperchi normativi erano bucati in partenza? Così esse vengono nuovamente modificate nel Consiglio dei ministri del 9 settembre, solo sei giorni dopo, e arrivano finalmente in Gazzetta Ufficiale come decreto legge n. 122 dell’11 settembre. Quali modifiche introducono? Sostanzialmente quattro, tutte rivelatrici delle preoccupazioni del legislatore teleologico in versione ostetrico di ITA.

La prima è apparentemente poco importante nella sostanza ma in realtà significativa dell’aria che tira. Il vecchio testo del d.l. 99, che così recitava: “I Commissari straordinari provvedono alla modifica del programma della procedura …”, è infatti sostituito dal seguente: “Il programma della procedura di amministrazione straordinaria è immediatamente adeguato dai commissari…”. Come dobbiamo leggere l’avverbio “immediatamente”, che è la sola novità semantica introdotta, se non come critica ai commissari? Essi si attarderebbero evidentemente sulle formalità della correttezza procedurale anziché adeguarsi istantaneamente al volere del principe in questo esatto momento, come richiesto dal legislatore ostetrico.

In secondo luogo, il nuovo decreto ha stabilito che il marchio Alitalia, che per accordi con l’Europa dovrà essere ceduto tramite gara, potrà essere acquisito solo da vettori aerei già esistenti. Questa regola viola però i principi di concorrenza, essendo finalizzata a favorire l’offerta di ITA, e non garantisce inoltre la massimizzazione del valore da parte dei commissari. E se una ditta di cioccolatini o di moda volesse offrire di più? I creditori della procedura sarebbero sicuramente contenti.

Lo stesso effetto penalizzante sui proventi è egualmente prodotto da un’altra norma. Infatti, le bande orarie di decollo/atterraggio non trasferite a ITA dovranno essere restituite per la riassegnazione gratuita da parte dell’autorità competente e non potranno essere cedute dai commissari dentro un secondo ramo volo di Alitalia, di fatto esistente dato che ITA se ne comprerà meno della metà. Anche questa è una perdita di valore non trascurabile per la gestione commissariale. Se invece il Governo accettasse l’idea che dalla vecchia Alitalia in amministrazione straordinaria, con una flotta di oltre 110 aerei, siano ricavabili due distinti rami aviation, quello acquisito da ITA, con 52 aerei, e quello restante, non acquisito da ITA e di dimensioni almeno equivalenti e se questo secondo segmento fosse messo in vendita separatamente dai commissari potrebbe contribuire a ridurre sensibilmente il problema occupazionale, potendo assorbire dai 2 ai 3 mila dipendenti di Alitalia che non troveranno posto in ITA. Se invece lo si butta via, come richiesto dalla norma, gli slot lasciati liberi finiranno gratuitamente ai concorrenti temibili i low cost i quali li utilizzeranno per ridurre ulteriormente e drasticamente le già poche chance del nuovo vettore pubblico.

Ma la disposizione di maggior impatto è sicuramente l’ultima: ITA potrà acquisire da Alitalia non necessariamente solo “rami d’azienda” ma anche “singoli beni” e “parti di rami d’azienda”. La distinzione non è banale: per norme generali, e loro interpretazioni consolidate, nel passaggio di rami d’azienda è necessariamente trasferito anche il personale che vi opera mentre nel caso di beni singoli no. Questa è però un norma elusiva, finalizzata a garantire la rottamazione dei dipendenti di Alitalia, evidentemente considerati una sorta di zavorra dalla nuova azienda. È tuttavia anche una norma completamente inutile allo scopo prefisso dato che se ITA si compra da Alitalia solo qualche aereo allora può farlo passare come “beni singoli”, ma se invece se ne prende cinquanta l’operazione di camouflage degli asset risulta ben più ardua.

La conclusione è che il legislatore teleologico, ostetrico di ITA, è anche un costruttore maldestro di cavalli di Troia normativi, finalizzati a far uscire dalla cerchia muraria dei commissari di Alitalia intere flotte, ma ogni volta come “beni singoli” o al più “rametti d’azienda”, mai rami interi. Alla fine se ITA non partirà sarà proprio a causa del legislatore azzeccagarbugli che ha voluto crearla a qualsiasi costo.

(4- continua)

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