Ed ecco che d’un tratto nel percorso metafisico di Alitalia emerge pure un bando d’asta per poter comprare non solo il marchio Alitalia (la nostra benamata A tricolore) ma pure slots, Millemiglia, ecc. C’è davvero da mettersi le mani nei capelli e confesso che ogni volta si fa più difficile commentare i fatti, visto che la realtà supera le più incredibili elucubrazioni, togliendo spazio alla fantasia… Oddio, la situazione Covid ci ha pure portato a vivere situazioni che fino a meno di un anno fa non avremmo mai pensato, ma con la vicenda Alitalia, seguendola passo a passo, non c’è dubbio che chi se ne è interessato abbia fatto un bell’allenamento.
Ora ci si mette pure l’Ue a chiedere chiarezza, ma anche a mettere le regole per realizzare quello che è nei suoi piani: finalmente poter mettere le mani su uno dei Paesi che, Covid permettendo, ha i più alti numeri, almeno in Europa, a livello non solo di realtà ma pure di potenzialità del traffico aereo. Lo farebbe, almeno così dicono le ultime notizie, attraverso il vecchio discorso di una compagnia aerea italiana ancellare e piccola al servizio di un gigante dell’aria tedesco con i piedi di argilla (Lufthansa) ma con una politica che l’appoggia in maniera concreta e soprattutto con una visione nazionale ben precisa a difesa dei propri interessi.
Tutto il contrario di quello che in verità si dovrebbe fare, pur se nell’attuale incertezza sanitaria è un po’ difficile fare programmi di ogni genere: si può pensare di tutto, difatti, ma realizzarlo e muoversi è un problema non da poco. Bisogna però mettere in chiaro alcune basi dalle quali non ci si può separare: in primo luogo, pur nel progresso dell’informatica e del settore del lavoro telematico, l’aereo costituirà ancora per un bel po’ il mezzo più veloce per muoversi e spedire merci (fattore questo che in Italia pare essere preso in considerazione solo ora). Quindi per una nazione che si rispetti (ed è una potenza turistica di prim’ordine almeno in teoria) è indispensabile, se vuol contare qualcosa si capisce, mettersi in testa questo e iniziare a immetterlo tra le questioni importanti per il suo futuro: passarlo in mani straniere significherebbe delegare parte della propria economia al controllo della concorrenza, cosa non nuova se pensiamo a come, nel corso degli anni tra la fine della “Prima Repubblica” e l’attuale Terza, si sia assistito, gradualmente ma inesorabilmente, a una distruzione sistematica dell’economia industriale (soprattutto) italiana e alla sua liquidazione da parte di un sistema politico-sindacale che di fatto in questo tempo ha macinato fumo, messo nel caos il Paese con conseguenze che abbiamo visto in maniera macroscopica nella sanità nel mezzo della pandemia. Il tutto però con un unico scopo, perfettamente raggiunto: la sopravvivenza di un sistema che mira solo al potere nudo e crudo e alle sue poltrone, alimentato da fiumi di denaro che nemmeno la recente mossa (alquanto scenografica) della riduzione di parlamentari e senatori ha schiodato.
Perché di mezzo c’è qualcosa che fin dal 1998 e proprio dalla questione Alitalia si era capito benissimo, ma che politici e sindacalisti, uniti a una massa pecorile di lavoratori affrancati a questo sistema e incapaci di produrne uno nuovo (il delivery è meno impegnativo che cucinare no?) sono riusciti a far fallire proprio una realtà che avrebbe visto la nostra cara Italia dominare i cieli europei attraverso una alleanza ampiamente strategica e intelligente con Klm. E via via siamo arrivati anche alla metafisica questione Fincantieri- Stx, a una Fiat (ora Fca) che andrà alla Francia, per non citare la quantità industriale di vicende che ci hanno affossato in questi anni.
Ma sì, continuiamo a parlare di Rinascimento, di futuro, poi ci mettiamo in bonus monopattini, progettiamo banchi a rotelle utili per trasformare la scuola (e l’istruzione) in un autoscontro, aiutiamo piccole industrie a convertirsi in fabbricanti di mascherine, poi le importiamo dall’estero a maggior prezzo (o le facciamo produrre da Fca a milioni… peccato però non conformi agli standard) e lasciamo tonnellate di prodotto a marcire nei magazzini costringendo i produttori al fallimento, mandiamo a quel paese masse di giovani che emigrano, spesso con successo. In poche parole continuiamo a rimanere fedeli al principio citato da Tommasi di Lampedusa (“Cambiar tutto affinché nulla cambi”) invece di metterci seriamente, tutti, nessuno escluso, a pretendere che l’Italia torni a essere quello che noi tutti auspichiamo: una nazione. Ma tant’è… nel frattempo buttiamo tutto al macero scuole, ospedali, cultura, piccole e medie industrie, attività commerciali, compagnie aeree e chi più ne ha più ne metta. Ma non azzardiamoci a cambiar sistema, per carità. L’improvviso benessere che già abbiamo sperimentato con la rinascita dopo la tragedia di una guerra potrebbe investirci e farci godere la vita in nome di un bene comune e di un amore verso il proprio Paese che attualmente non si vede.
Tutti zitti mi raccomando e in fila verso le libertà che una società liquida ci potrà far godere, almeno questo si legge nei pensieri di molti (non solo radical-chic) che si definiscono “progressisti”. Povera Italia!