La situazione di Alitalia è giunta al momento più drammatico dei 74 anni della sua storia. Pochi giorni fa l’amministrazione straordinaria ha versato in ritardo ai dipendenti metà dell’esiguo stipendio del mese di marzo, falcidiato dalla quota di tempo trascorsa da quasi tutti a rotazione in cassa integrazione.



Per molti si è trattato di poche centinaia di euro, dato che l’azienda non ha potuto anticipare neppure la quota ordinaria di cassa integrazione a carico dell’Inps. Non era mai successo e questa è la conseguenza ultima della fallimentare privatizzazione del 2008, i cui caratteri negativi non mancammo di rimarcare già all’epoca, collocandoci in un’esigua minoranza di commentatori. 



Il nostro Paese soffre da parecchio tempo di memoria corta e vista cortissima, non essendo in grado di ricordare gli errori passati, neppure i più recenti, e dunque neppure di proteggersi dal ripeterli o da commetterne di simili. Nel caso di Alitalia a dire che il “salvataggio” con affidamento ai “capitani coraggiosi” si sarebbe rivelato un fallimento ancora più clamoroso dei precedenti fummo talmente in pochi che avremmo potuto organizzare un incontro in un qualsiasi ascensore di un palazzo italiano.

Conviene allora mettere in guardia sugli errori più gravi che rischiamo di commettere nel breve termine sul trasporto aereo. Il primo è quello di pensare che di Alitalia, o meglio di un vettore network centrato sul nostro Paese, si possa fare a meno e che il trasporto aereo sui cieli italiani possa essere garantito dal mercato. Questo è l’errore degli amici liberisti, ancorati a una visione idealistica, oserei dire romantica, della concorrenza e del mercato. Il loro è ancora il modello neoclassico in cui l’esito della concorrenza è una condizione di equilibrio in cui una molteplicità di operatori, in grado di usare in maniera efficiente le tecnologie migliori, coprono la domanda dei consumatori. 



In questa visione qualche operatore poco efficiente esce dal mercato ma qualcuno nuovo può entrarvi e il pluralismo dei produttori è garantito. Ma questo modello sta all’attualità di molte industrie, trasporto aereo incluso, come il paradiso terrestre sta alla condizione umana. In queste industrie vige una concorrenza che io definisco orwelliana, prendendo a prestito da un commento sintetico e di grande efficacia di George Orwell nella sua recensione allo scritto di von Hayek La via della schiavitù: “Il problema della concorrenza è che qualcuno vince”. E quel qualcuno che vince vince per sempre, mentre chi perde perde per sempre e non compete più. Non è una gara sportiva in cui chi oggi vince domani può perdere e chi oggi perde domani può vincere. Chi oggi vince si prende anche tutto lo stadio e di gare non se ne fanno più. Non è la concorrenza che garantisce il pluralismo, ma la concorrenza che partorisce il monopolista e che in conseguenza, da liberali orwelliani, proprio non può piacerci.

Se poi l’arbitro della gara, in questo caso la Direzione concorrenza della Commissione europea, sembra fare di tutto per correre in soccorso dei più forti il quadro si fa ancora più scuro. Bruxelles non sta sul monte Sinai e un commissario pro tempore dell’Unione europea non è il tramite per la manifestazione della volontà suprema. Non è pertanto il caso di attendere ai piedi del monte che scenda con le tavole su cui sarà scritto come dovrà essere fatta la nuova Alitalia. Anche perché se gli diamo retta metteremo in piedi un micro vettore privo di tutte le caratteristiche indispensabili per competere e la cui durata in volo sarà inversamente proporzionale alle sue perdite. 

L’Italia è obbligata a rispettare le norme di concorrenza scritte sul Trattato di funzionamento dell’Unione europea che sono qualcosa non necessariamente coincidente con l’interpretazione che ne può dare un commissario pro tempore, né tanto meno con l’interpretazione autointeressata degli attori più forti su uno specifico mercato. La concorrenza prevista dal Trattato non è quella temuta da Orwell e non prevede che essa debba produrre dei monopolisti. Invece, purtroppo, l’interpretazione che ne è stata data nel caso della liberalizzazione aerea è esattamente quella. Un vecchio articolo di Federico Rampini su Repubblica del 9 giugno 2003 riporta una dichiarazione rivelatrice dell’allora commissario Ue ai Trasporti De Palacio: “Finisce per sempre – ha detto la de Palacio – il concetto di compagnia di bandiera”. … Entro pochi anni, prevede la de Palacio, resterà al massimo una mezza dozzina di compagnie europee sui voli intercontinentali. Le più piccole saranno spazzate via o comprate dalle più forti. Purtroppo negli ultimi anni l’Alitalia è scivolata verso il fondo della classifica, tra le “piccole”, sempre più lontana da Air France o Lufthansa. 

Questo era ed è esattamente il quadro e non si può dire che non fosse stato rivelato per tempo. Se noi accettiamo questa visione della concorrenza allora inutile insistere con Alitalia, prendiamo atto di aver perso, del fatto che la concorrenza nel settore produce oligopolisti e che noi non saremo tra questi. In tal caso dotiamoci dell’onestà intellettuale di mettere in liquidazione Alitalia, come ha appena fatto l’Aga Khan con la sua Air Italy, senza buttare altri soldi del contribuente in un micro vettore che non ci condurrà da nessuna parte. Se invece non accettiamo questo modello di concorrenza, che non sta scritto esplicitamente in alcun modo nel Trattato Ue, allora dobbiamo attrezzarci per competere in maniera robusta, l’esatto contrario di quello che Vestager pretende da noi, e per iniziare a farlo dobbiamo in primo luogo evitare che Alitalia chiuda e metta a terra definitivamente gli aerei. 

Cosa si può fare ancora al riguardo, tenendo ben presente che non restano più di due o tre settimane a disposizione? Si può aggiornare alla situazione attuale, assai più deteriorata, la strategia già delineata in coda a un intervento sul Sussidiario del 16 ottobre 2019, ma poiché serve un pò di spazio per illustrarla in dettaglio la rimandiamo a un secondo intervento per i prossimi giorni.

(1- continua)

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