I lettori del Sussidiario, e io tra questi, sono stati sempre bene informati sulle complesse vicende che hanno coinvolto quella che era la nostra “Compagnia di bandiera”, Alitalia. Anche recentemente sono stati pubblicati contributi molto ricchi di informazioni e valutazioni sugli assetti che la società potrebbe avere uscendo dalla gestione commissariale e quali siano le azioni necessarie per il suo rilancio.
Negli ultimi tempi sembra che la scelta del nuovo assetto societario sia a un passo dal compiersi, ma che tutto stia ruotando da tempo intorno alla partecipazione di Atlantia, fortemente auspicata da Ferrovie dello Stato e Delta, ma imbarazzante per il ministro dei Trasporti. I motivi, sia della preferenza sia del, chiamiamolo, imbarazzo sono evidenti. Da un lato, Atlantia controlla Aeroporti di Roma, che gestisce in concessione l’aeroporto Leonardo da Vinci di Fiumicino, principale, se non unica, base di armamento del vettore Alitalia; tutti i grandi vettori e in particolare quelli impegnati nel trasporto intercontinentale lavorano in stretta sinergia con un gestore aeroportuale, sinergia che arriva spesso a un incrocio di azionariato. Solo per citare i maggiori: Lufthansa opera il 52,7% dei voli nell’aeroporto di Francoforte; Air France il 48,2% di quelli operati a Parigi Charles de Gaulle, Klm il 44% di quelli nell’aeroporto di Amsterdam e in tutti i casi ci sono strette connessioni tra gestore aeroportuale e compagnia aerea di riferimento: a livello europeo, non si pone quindi il tema di una separazione tra le due attività, che, invece, possono insieme sviluppare importanti sinergie. L’attuale gestione dell’aeroporto ha, infine, dato prova di ottimi risultati, portando lo scalo da una situazione di grave inefficienza a essere considerato, negli ultimi due anni, il miglior scalo europeo.
Sull’altro fronte sono anche evidenti i motivi che frenano il ministro dei Trasporti, che ha ingaggiato una personale sfida al gruppo Atlantia, che controlla anche Autostrade per l’Italia: a seguito del crollo del ponte Morandi di Genova, ha prontamente dichiarato che avrebbe revocato la concessione della gestione autostradale: il crollo avrebbe dato evidenza della non volontà o incapacità di gestire in sicurezza una realtà complessa come la rete autostradale. La mancanza di fiducia è stata anche recentemente ribadita e, si noti, non tanto nei confronti del management di Autostrade per l’Italia, ma dell’azionista di vertice, la famiglia Benetton. È quindi evidente quanto sia imbarazzante la scelta di accordare, invece, fiducia allo stesso azionista per gestire un’azienda ancora più delicata e complessa come Alitalia.
Le due vicende sono quindi inevitabilmente legate: per questo sembra utile leggere con attenzione il parere formulato a questo proposito dal Gruppo di lavoro, istituito dal Ministro Toninelli per assisterlo sulla scelta se revocare o meno la concessione Autostrade. Lasciando, eventualmente, a un altro contributo la lettura analitica di questo interessante documento da poco reso pubblico, segnalo che dopo una lunga e complessa analisi, il gruppo di lavoro afferma che lo Stato ha il potere di risolvere unilateralmente la concessione. Però, dopo questa affermazione, aggiunge che “i possibili rischi evidenziati al paragrafo 11 (di gravi penalità economiche, nel caso in cui il giudice non accetti il punto di vista del Ministero, ndr), discendenti dallo squilibrato contenuto e dalle modalità di approvazione della Convenzione, potrebbero comunque consigliare una diversa soluzione, rimessa alla valutazione politica o legislativa, volta alla rinegoziazione della stessa Convenzione”.
Entrambe le partite sono quindi aperte e sembra difficile che possano chiudersi entro pochi giorni. Anche su un tempo più lungo, tuttavia, un’equilibrata soluzione richiede, a mio modesto avviso, di riportare i principali attori a fare il proprio ruolo: le imprese, siano esse Ferrovie dello Stato, Atlantia, o gli altri investitori, rendano espliciti i piani industriali che si propongono di realizzare; i Ministeri coinvolti (almeno Trasporti e Sviluppo Economico) facciano le scelte di politica industriale, scegliendo i piani industriali più solidi e lascino alla magistratura, che dovrebbe essere sollecita, il compito di decidere responsabilità e condanne. Serve, soprattutto, che si abbandoni un evidente pregiudizio industriale che accompagna, fin dalle origini, molte posizioni del Movimento 5 Stelle.
La vicenda Atlantia, come del resto quella di ArcelorMittal, coinvolge importanti interessi a livello internazionale: molte sono le imprese concorrenti che trarrebbero grandi benefici da una decisione dello Stato italiano contraria a una di esse. Vorremmo essere confermati nella convinzione che nessuno di questi competitori, in modo diretto o indiretto, sia tra i clienti di una nota società privata, in grado di esercitare un’influenza importante su queste delicate decisioni.