Ed eccoci arrivati alla soluzione Ue che pretende, giustamente, discontinuità nell’ormai leggendaria Alitalia e anche un dimensionamento con soli 75 aerei, contro i 113 attuali, oltre naturalmente al cambio di nome della società. Che si chiamerà Alitalia Tai (Trasporto aereo italiano) e, oltre a una flotta più piccola, dovrà ridurre l’organico di circa 3.500 dipendenti e poi scegliere in che alleanza mettersi. Di fatto sia il Presidente Francesco Caio che l’Ad Fabio Lazzerini dovranno compiere una vera e propria rifondazione in un momento nel quale ancora non si vedono prospettive certe nella riapertura del mercato. Dovranno prima crollare tutti i veti di circolazione di persona extra Ue in Europa per iniziare a vedere come impostare il network: ma si dovrà pure pretendere che tutto il settore low cost, che in Italia ha sempre goduto di condizioni di libertà commerciale e legislativa inimmaginabili in altri Paesi, sia messo sotto controllo nella sua operatività e, a quel punto, oltre che a parlare di una competitività commerciale finalmente basata su chiari principi, si potranno operare delle scelte di network vitali per la compagnia ex di bandiera.



Secondo il mio modestissimo punto di vista, però, c’è un’altra questione importante: la creazione di un’aerolinea “piccola e bella” già rientrava nel bocconcino che alcuni politici stavano apparecchiando per Lufthansa e mi pare che questa ulteriore mossa di rimpicciolimento possa far sorgere il dubbio che, a piccole dosi e nel tempo, la minestra che si sta cucinando sia poi la stessa.



È per questo che Alitalia dovrebbe puntare decisamente su mosse che allontanino inequivocabilmente da questi pensieri, per il semplice fatto che se uno Stato ci vuol mettere 3 miliardi (come si ripete fino alla noia) per poi creare una società ancellare, allora mettiamoci il cuore in pace pure sul resto del piano del rilancio dell’Italia post-Covid.

In molti sostengono che il cambio di rotta della Germania sui finanziamenti Ue tanto faticosamente “conquistati” dai Paesi più colpiti dalla pandemia, da nazione rigorosa a solidale, sia stato basicamente attuato dopo un incontro che i manager Volkswagen hanno avuto a quattr’occhi con Merkel, colloquio nel quale la Cancelliera deve aver finalmente capito che se l’Italia entrava in crisi la VW non avrebbe prodotto nemmeno un triciclo, perché la maggior parte delle parti dei mezzi di trasporto prodotti vengono dall’Italia.



Ecco che finalmente pure il Paese dalla doppia morale è diventato solidale: sarebbe bello che da questo piccolo fatto la nostra politica prendesse spunto per impostare un’economia finalmente rispondente agli interessi nazionali italiani. E, come ripetuto all’infinito, Alitalia costituirebbe il punto d’inizio di questa che, dopo anni di “confusione” ideologica, costituirebbe una non tanto piccola rivoluzione. Non uno Stato Babbo Natale, ma uno che miri alla difesa dei propri interessi (le altre nazioni lo fanno da mo’) e anche pretendere che le imprese gestite diano utili. Ossia un cambio di mentalità totale.

Forse giova ricordare che, dopo la catastrofe della Seconda guerra mondiale, la cifra di aiuti che l’Italia ricevette dal famoso “Piano Marshall” corrispose a “soli” 13 miliardi degli attuali euro: e guardate un po’ come nell’arco di 15 anni ci siamo trasformati nell’ottava potenza economica mondiale. Perché ci abbiamo messo l’inventiva, la creatività, il sacrificio e il lavoro con in più una solidarietà davvero encomiabile. Cosa che è un po’ scomparsa per poi riapparire in questi mesi di pandemia Covid. Sapremo ripetere questo miracolo, ora che di miliardi ce ne sono almeno 200?