Il 1960 fu l’anno in cui l’Italia celebrò, con la ciliegina sulla torta delle Olimpiadi di Roma, la sua rinascita. Il Paese che era uscito distrutto dalla tragedia della Seconda guerra mondiale, con milioni di morti, senza risorse se non quelle umane, aveva potuto compiere un miracolo frutto di sacrifici enormi e di ingegno che si era tradotto anche in quell’Italian Style che stava iniziando a conquistare il mondo della moda e del design. Con la colonna sonora di una canzone il cui ritornello azzeccatissimo, “Volare”, pareva diventato l’inno del pianeta Terra, tanto successo ebbe ai 4 angoli del globo. Ritornello però che significava anche l’ufficiale successo nei cieli di una compagnia aerea chiamata Alitalia che nel suo sviluppo e col suo marchio avrebbe portato lo stile italiano nel mondo.
Tutto quel fenomeno, che ancora fa venire gli occhi lucidi al pensiero, fu figlio di gente che, uscita dalla tragedia, attraverso la sua cultura, nel pieno rispetto di codici etici e morali, seppe costruire una nazione che, seppur per breve tempo, in questa moderna versione del Rinascimento, sarebbe e arrivata a essere l’ottava potenza mondiale. Tutta questa storia, nella sua realtà, cozza tremendamente con un’attualità di un Paese che è precipitato nell’ignoranza e l’oscurantismo più totale, incapace non solo di partorire un misero sistema di rilancio, ma arrivato a un punto marcio tale da provocare, dopo tanti anni, la rinascita del triste fenomeno dell’emigrazione, questa volta non di braccia ma di cervelli.
E come negli anni Sessanta, ma ovviamente a rovescio, il vettore Alitalia sta diventando il simbolo, ormai più che ventennale, di questo oscurantismo. Quello di una politica che è un’ameba a sé stante che pare atterrata per caso da un altro pianeta, rinchiusa nella sua roccaforte dove l’ignoranza domina non solo nelle citazioni che sempre più spesso si ascoltano con sfondoni lessicali indegni anche in una scuola elementare, ma anche nella condotta, molte volte da asilo infantile ma strapagatissima, di tanti dei suoi componenti.
È arrivata anche l’antipolitica (almeno si definiva tale) guidata da un comico (ci mancava solo questo) che alla fine ha portato la rivoluzione del nulla, ancoratasi alle più retrograde filosofie del palazzo e di proclami (come quello della “fine della povertà” gridato dai balconi di palazzo) indegni se detti da chi, in quel momento, detiene le leve del potere.
Questa Italia incapace, distante anni luce dalla gente che dovrebbe rappresentare, legata solo a logiche finanziarie di cui pure il cosiddetto progressismo (o sinistra tanto per intenderci) è schiavo, cosa dovrebbe avere come “vettore ufficiale” delle Olimpiadi di Roma (perdute) se non l’Alitalia attuale, che la rappresenta benissimo?
È inutile: un Paese che butta fuori a calci nel sedere le proprie intelligenze e tratta quelle coraggiose che vi rimangono non ascoltandole o sottraendogli i mezzi per potersi esprimere merita un’Alitalia così. Dove c’è chi continua a promettere sviluppo, ma intanto concepisce solo piani di ristrutturazione avendo come complice un mondo sindacale che fa la coda per avere un ruolo nel funerale, dove spera di poter controllare il gregge destinato al macello in suo potere.
In questo quadro l’entrata chesichenocheforsechepuòessere di Lufthansa si aggiunge all’ormai interminabile serie di proposte funzionali solo alla distruzione di Alitalia. Se, dopo Gaetano Intrieri, pure Ugo Arrigo è da considerarsi un ex consulente del Mise, siamo proprio alla fine: il caro docente della Bicocca ha ribadito in un suo articolo su questa testata un concetto che, seppur di una semplicità disarmante e con diversi esempi a dimostrarlo, continua a non essere recepito da chi detiene le leve di questa ormai triste vicenda. Una Alitalia nelle condizioni economiche attuali deve prima essere messa in grado di camminare da sola per poi trovare nuovi partner in grado di continuare a farla volare e garantirne lo sviluppo che, lo ripeteremo fino alla noia, è di vitale importanza se si vuol rimettere in moto l’economia di un Paese come il nostro.
Purtroppo non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire. Ma un’ultima speranza, una fiammella, anche se labile, rimane accesa. Ce lo ha dimostrato il Cile attuale, dove la presenza di un milione e duecentomila manifestanti con la loro pacifica presenza hanno smosso un potere al dialogo rispetto a gruppi di centri sociali che hanno solo attirato la repressione più violenta in risposta alle loro violenze.
I dipendenti Alitalia tempo fa, con il loro NO al piano Etihad fatto attraverso una massiva partecipazione al referendum interno, hanno avuto ragione di una manovra che stava portando Alitalia verso la sparizione. Sarebbe ora che, dopo aver creduto (purtroppo) alle favole provenienti da chi li ha usati come serbatoio di voti, facendogli credere una speranza e poi mettendoli in bocca al primo lupo di passaggio, tornino ad alzarsi dalle tastiere e si riuniscano massivamente. Il grande Giorgio Gaber (anche questo lo ripetiamo) aveva ribadito questo concetto, che gli italiani dovrebbero tornare a riconsiderare: la libertà è partecipazione. Altro, purtroppo, visti gli attori presenti in questa vicenda, non si può fare: il futuro di Alitalia è nelle mani di coloro che quotidianamente la fanno volare. Pronti al decollo ragazzi?