Il primo volo di Alitalia fu il Torino-Roma-Catania del 5 maggio del 1947. Oggi la compagnia compie pertanto 74 anni e mai compleanno fu più offuscato dall’incertezza sul suo futuro. I quasi tre quarti di secolo si possono dividere esattamente in tre e da essi ricaviamo tre grandi capitoli in cui dividerne la storia: un primo quarto di secolo di grandi successi, del tutto inaspettati al momento della nascita; un secondo quarto di accettabile transizione che ne assicurò comunque una dignitosa sopravvivenza; un ultimo quarto di crisi in serie, ognuna più grave della precedente, e tali da renderne incerta la continuità.
Il primo quarto è la storia dei successi di Alitalia e l’ultimo quarto la storia degli errori compiuti, interni ed esterni all’azienda, strategici, gestionali e di politiche pubbliche del trasporto aereo. Non abbiamo qui spazio sufficiente neppure per riassumere questi ultimi, né sarebbe granché opportuno nel giorno del compleanno, ma ne abbiamo parlato molte molte volte, seguendo con continuità il tema di Alitalia e del trasporto aereo dalla crisi del 2008. Non abbiamo neppure spazio sufficiente per ricordare i successi industriali della prima parte della Storia, caratterizzata da una continua crescita della flotta e dei traffici e da bilanci stabilmente in utile.
Possiamo invece dare la parola a coloro che di quel successo furono gli artefici, grazie alle testimonianze messe per iscritto in un numero commemorativo della rivista aziendale “La Freccia Alata”, pubblicato nel 1967 in occasione del ventesimo compleanno. Si tratta del primo Presidente della compagnia, il conte e politico liberale Nicolò Carandini (allora evidentemente i liberali non erano contrari ad Alitalia…), e dell’amministratore delegato, l’Ing. Bruno Velani. L’intervento del secondo chiude il volume e ha un titolo che citato oggi senza datarlo apparirebbe come una provocazione: Il successo di Alitalia. L’intervento del primo apre invece il volume e di esso abbiamo già citato in un precedente intervento alcuni passi significativi che meritano comunque di essere ripresi in sintesi per la loro straordinaria capacità di spiegare sia i successi aziendali del primo periodo che lo straordinario declino dell’ultimo.
Sostiene Carandini che “questa è un’industria che non vive se non crescendo, in cui chi si arresta non può che retrocedere sotto la pressione di una implacabile concorrenza”. Egli ritiene indispensabile che l’azienda debba tenere il passo del mercato, crescere almeno altrettanto velocemente perché in caso contrario è destinata a soccombere. La crescente capacità del settore, resa possibile dal progresso tecnico dell’industria che ne determina costi decrescenti, è destinata a “sollecitare sempre più vasti afflussi di nuovi traffici” e a favorire una “politica di ribassi tariffari da parte delle più potenti compagnie…”, che darà luogo a una “battaglia dei prezzi nella quale è destinato a soccombere il vettore che non si adatterà sul piano concorrenziale a dare un’adeguata risposta alla dinamica richiesta dal mercato con i necessari rinnovi di flotta e l’adeguato tasso di espansione”.
I fenomeni previsti da Carandini si sono manifestati nella loro massima ampiezza nell’ultimo ventennio, dopo il completamento della liberalizzazione europea. Come li ha affrontati Alitalia che invece, nei suoi primi vent’anni di vita, era vissuta crescendo, riuscendo a tenere il passo del mercato, rinnovando e aumentando la flotta e l’offerta con costi e tariffe decrescenti, così da riuscire ad accontentare la crescente domanda e tenere a bada la crescente concorrenza?
Quando all’inizio del nuovo millennio la liberalizzazione voluta dall’Europa ha permesso di dispiegare completamente le potenzialità del mercato, accelerandone enormemente la crescita grazie all’aumento della concorrenza, Alitalia ha smesso di crescere e si è completamente fermata. In tal modo ha smesso di tenere il passo della domanda e del mercato e ha anche dismesso la capacità di operare in equilibrio economico, con tariffe rese decrescenti dalla pressione competitiva dei vettori low cost assai più rapidamente di quanto potesse avvenire dal lato dei costi di produzione.
Il Grafico 1 è una panoramica del mercato italiano del trasporto aereo nell’ultimo quarto di secolo. In esso è evidente già all’inizio del periodo il totale arresto nella crescita di Alitalia mentre l’enorme sviluppo della domanda che avviene in seguito risulterà quasi integralmente soddisfatto dai vettori low cost. Essi al momento della liberalizzazione non erano presenti in Italia, mentre nel 2019 hanno trasportato 88 dei 160 milioni di passeggeri totali, con una quota di mercato del 55%. Alitalia è invece rimasta ferma. Trasportava 21 milioni di passeggeri a metà anni ’90 quando il mercato non raggiungeva i 45 milioni e ne ha trasportato 22 milioni nel 2019 quando il mercato ha raggiunto i 160 milioni.
Grafico 1 – Il mercato italiano per tipologie di vettori (milioni di passeggeri)
Fonte: elaborazioni su dati Enac e vettori.
Mentre in un quarto di secolo il mercato italiano del trasporto aereo è quasi quadruplicato la quota di un’Alitalia stazionaria si è inevitabilmente ridotta di quasi tre quarti, passando dal 48% del 1996 al ridotto 13,6% dell’anno pre pandemia. Per tenere il passo del mercato avrebbe invece dovuto moltiplicare per quattro la sua capacità e per tre la sua flotta, considerando che gli aerei attuali sono più grandi di quelli di allora. Nel 2019 avrebbe dovuto pertanto volare con circa 450 aerei rispetto ai 115 circa utilizzati prima della pandemia. Non essendo invece riuscita a crescere ha perso progressivamente il suo potere di mercato in favore dei vettori low cost, da un lato, e dei suoi fornitori, di aeromobili e di servizi dall’altro e negli ultimi anni si è ritrovata con gli yields, i proventi unitari, abbattuti dalla concorrenza e con i costi decisi in gran parte dai suoi fornitori.
L’Ing. Velani nel contributo finale del volume per il ventennale di Alitalia cita, per spiegare le ragioni del successo della compagnia, un articolo del 1965 del prestigioso Times dedicato allo stesso tema (pensiamo agli articoli più recenti della stampa estera su Alitalia…) il quale elenca tre fattori chiave:
1) “Alitalia ha sempre potuto scegliere con assoluta indipendenza gli aeroplani che riteneva più adatti alla sua flotta e alle sue rotte“;
2) “La politica commerciale della società, sempre governata da rigorosi criteri economici. L’Alitalia non ha mai creato linee di prestigio, non ha aperto collegamenti, anche se non redditizi, per motivi di nome o per ragioni di carattere strettamente politico“.
3) “L’Alitalia non ha mai cercato di fare quello che non poteva fare. Non ha mai cercato, cioè, di gettarsi in attività economicamente non convenienti“.
Il lettore contemporaneo, a differenza di quello del 1967, anno di pubblicazione del volume, sa benissimo che nessuno di questi fattori è sopravvissuto sino ai giorni nostri e che tutti, in conseguenza, sono cessati in qualche momento intermedio tra allora e ora. Dei tre il secondo merita un approfondimento anche alla luce delle scelte fatta dalla prima gestione commissariale di Alitalia. Così prosegue infatti l’ing. Velani: “Prima di aprire una nuova linea l’Alitalia effettua lunghi e accurati studi. Le ricerche di mercato si protraggono a volte per alcuni anni e le decisioni vengono sempre aggiornate ai risultati degli studi. Occorre tener presente che l’apertura di un nuovo collegamento è quasi sempre un rischio calcolato, come dicono gli americani, e qualche volta può succedere che dei collegamenti diventino commercialmente attivi solo dopo due anni, o anche tre, di esercizio“.
Se ricordiamo le rotte intercontinentali rapidamente aperte e spesso anche altrettanto rapidamente chiuse, e qualche volta chiuse ancora prima di essere avviate (Nairobi nel 2018), tanto dai gestori privati post 2008 (come Santiago del Cile, Mexico City o Nuova Delhi) che dalla prima gestione commissariale a guida Gubitosi (Washington e le esotiche Maldive, in questo caso in concorrenza con uno storico vettore italiano leisure che le serviva da lungo tempo), comprendiamo come questa regola della vecchia Alitalia sia stata dismessa senza che ne sia rimasta traccia nella gestione aziendale. L’Alitalia del declino ci appare così differente dall’Alitalia del successo che l’unica spiegazione plausibile sembra essere quella che debba aver perso la memoria aziendale, come accadrebbe a un umano vittima di una malattia degenerativa.
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