Nella complessa vicenda Alitalia c’è un fatto nuovo. Non sono i 400 milioni di “prestito” ponte, che seguono altri “prestiti”, che con tutta probabilità non saranno rimborsati. Sono le parole del ministro Patuanelli in un’intervista al Messaggero: “Per salvare Alitalia ci restano sei mesi. (…) Altrimenti si chiude. Sono stati erogati 400 milioni di prestito. Non ci saranno altri fondi”. “Per Alitalia, questo è davvero l’ultimo intervento dello Stato”. Quanto al nuovo commissario: Leogrande “dovrà rendere più attraente la compagnia”, aggiungendo con insolita chiarezza che “non c’è interesse per la compagnia così come è ora”.
Finalmente stiamo iniziando ad ascoltare parole, senza dubbio spiacevoli, ma realistiche: fuori dalla comprensibile cautela, si comincia ad ammettere che Alitalia dovrà essere divisa. Del resto, l’attuale Alitalia fa almeno tre attività: 1) fa volare gli aerei e trasporta persone e cose; 2) fornisce assistenza a terra (handling); 3) fa manutenzione agli aeroplani. Mentre nel primo caso si deve confrontare con la concorrenza degli altri vettori, nel secondo e terzo caso è la stessa Alitalia a essere l’unico cliente
obbligato (capitve, cioè “prigioniero” dicono gli inglesi). Può darsi, e questo sembra il giudizio di tutti i potenziali acquirenti, che l’efficienza delle funzioni 2 e 3 non sia la massima. In particolare, il problema sussiste per la manutenzione: quando una compagnia rinnova gli aerei, e con aerei vecchi non si vince la concorrenza, ha bisogno di molta meno attività di manutenzione e il reparto risulta inevitabilmente sovradimensionato.
Ecco dunque perché, mentre c’è interesse per rilevare la parte “volo” i potenziali acquirenti non vogliono comprare le parti 2 e 3. Aeroporti di Roma, posseduta da Atlantia, poteva essere l’acquirente della parte 2, l’handling, che in massima parte opera a Fiumicino. Però sappiamo che la trattativa con Atlantia è chiusa perché troppo intrecciata con la vicenda delle concessioni autostradali. A fronte di questa, dolorosa, soluzione continuiamo ad assistere al ritorno di un fantasma dal passato: la gestione statale, in funzione di un non meglio definito superiore interesse nazionale.
Abbiamo già messo in evidenza come l’interesse nazionale sia di avere più vettori che, in competizione tra loro, offrano il migliore servizio possibile ai prezzi più contenuti. Invece accade di ascoltare nelle audizioni parlamentari e anche di leggere su queste pagine la proposta di limitare la concorrenza per permettere alla Alitalia statalizzata di aumentare i propri ricavi per passeggero chilometro. Grazie, no: abbiamo già dato! Per decenni il Sud Italia ha pagato a caro prezzo, nel senso letterale del termine, il monopolio Alitalia, subendo tariffe di gran lunga superiori a quelle pagate su percorsi di lunghezza analoga. Per decenni Milano ha pagato il protezionismo di stato verso Alitalia, che impediva ad altri vettori extraeuropei di servire la città per favorire l’hub di Fiumicino, ottenendo così di far diventare per una lunga stagione Francoforte il vero aeroporto intercontinentale del Nord. Solo negli ultimi anni, la tenacia della Regione Lombardia e di Sea ha ottenuto una progressiva apertura del mercato e l’attivazione di numerosi voli intercontinentali, nessuno dei quali peraltro operato da Alitalia.
Affrontiamo con realismo il passaggio di dividere la società e collocare innanzitutto al meglio la parte volo, sfruttando la reale competizione esistente tra le due alleanze mondiali, rappresentate da un lato da Lufthansa e dall’altro da Delta e Air France.