Una crisi senza fine quella di Alitalia, per la quale lo Stato italiano ha speso circa 13 miliardi in 47 anni. Lo evidenzia un report di Mediobanca, che ha calcolato quanti soldi pubblici ha ottenuto la compagnia aerea. Ma il futuro di Alitalia si lega ad una riflessione strategica sul destino del nostro Paese. Ne è convinto Carlo Pelanda, saggista e docente di economia e geopolitica economica. Bisogna partire da un punto fermo: «Un vettore di bandiera è indispensabile a tutela dell’interesse nazionale», soprattutto se turismo e indotto derivato valgono circa il 13% del Pil, scrive oggi a La Verità. Il Governo Draghi, dunque, deve riflettere sulla «pressione dell’Ue che ostacola sia il rilancio di Alitalia come compagnia a raggio mondiale, sia il mantenimento e l’eventuale aumento di aeroporti locali».



Ma deve riflettere anche sul fatto che non basta il marketing territoriale per rilanciare il turismo. Bisogna tener conto della cosiddetta “geopolitica del turismo”, cioè le azioni dei governi per «dirottare il più possibile flussi turistici sul loro territorio, attraverso l’influenza sui pacchetti viaggio e altri marchingegni».



PELANDA SU ALITALIA E IL PIANO DI RILANCIO

Cosa c’entra tutto questo con Alitalia? Molto in realtà. Secondo la Commissione Ue, spiega Carlo Pelanda, «l’Italia dovrebbe far fallire Alitalia oppure farne emergere dalle ceneri una molto piccolina in base alle regole che vietano gli aiuti di Stato». Invece il Governo per il saggista ed economista dovrebbe ricreare una compagnia aerea sotto controllo con la golden share e con una iniziale capitalizzazione statale per “recuperare” turisti e portarli in Italia. Una decisione sofferta per chi è liberista come Carlo Pelanda o semplicemente spaventato da quello che potrebbe rivelarsi l’ennesimo spreco statale, ma il saggista osserva che «il settore è contaminato da concorrenza sleale», quindi salvare Alitalia vuol dire anche in un certo senso salvare il turismo italiano. «Investire una decina di miliardi per estendere Alitalia implica un ritorno molto superiore per la crescita del settore turistico», scrive Pelanda su La Verità. Ma l’Ue pressa anche sul numero degli aeroporti in Italia, i cui costi non sono sostenibili dal volume di traffico.



Per Carlo Pelanda non solo vanno mantenuti, ma pure aumentati, perché ogni regione deve avere uno spazio ampio di connettività aerea. In primis per una questione di sicurezza, poi per rendere più luoghi raggiungibili. Ciò si lega «alla competitività di poter portare un turista comodamente molto vicino a un luogo decentrato, considerando la diffusività territoriale delle attrazioni italiane». Così poi si verrebbe a creare una infrastruttura utile anche per il trasporto interno e non stagionale. Serve un piano serio e una visione sistemica. L’ennesima sfida per il premier Mario Draghi.