Ricoveri in crescita, tasso di positività a 1,6, incidenza oltre la quota psicologica di 100 ogni 100mila abitanti (siamo a 102), ricoveri ordinari poco sopra la soglia critica del 10%. Gli ultimi dati parlano di 662, a fronte di 41.291 tamponi effettuati, nuovi casi di coronavirus, 65 ricoverati in terapia intensiva (+4), mentre quelli nei reparti ordinari sono 686 (+20) e 11 decessi. Numeri sufficienti a riportare sotto i riflettori la regione più colpita dalla prima ondata e dagli allarmismi. E molti mass media non hanno perso l’occasione per paventare il ritorno di una situazione da allarme rosso. Ma è davvero così? Cosa ci dicono le curve epidemiologiche? I lombardi passeranno un Natale in lockdown e un inizio 2022 con il sistema sanitario regionale di nuovo sotto violento stress?



“Al momento non bisogna essere preoccupati – risponde Paolo Berta, ricercatore di statistica nel dipartimento di Statistica e metodi quantitativi dell’Università degli Studi di Milano-Bicocca -, bisogna piuttosto stare molto attenti a non allentare le misure che finora ci hanno portato a tenere sotto controllo la pandemia, nonostante la presenza della variante Delta che è veramente contagiosa”. Il messaggio è chiaro e Berta lo ripete più volte: “Servono massima attenzione, mantenendo le misure in essere, come uso della mascherina e divieto di assembramento. Forse sarebbe il caso di rafforzare il Green pass e soprattutto di accelerare prepotentemente con le terze dosi”.



Con tutto quello che è stato fatto, in termini di “immunità di gregge” e di percentuali di vaccinati, la Lombardia può davvero andare di nuovo in crisi?

Se confrontiamo la situazione della Lombardia con quella delle altre regioni italiane è una delle più tranquille. In Lombardia abbiamo il più alto tasso di persone vaccinate con la doppia dose, pari all’86% e questo è senz’altro un dato positivo.

Che cosa, allora, fa tenere le antenne dritte?

Nonostante questa percentuale massiccia di persone che hanno ricevuto le due dosi, abbiamo ancora una buona quota di residenti non coperti, abbiamo una variante che ha una capacità di contagiare sei volte superiore rispetto a quella del ceppo originario del virus con cui abbiamo fatto i conti l’anno scorso. Non solo: oggi i non vaccinati rispetto ai vaccinati corrono un rischio sette volte superiore di finire in ospedale o in terapia intensiva. E siccome nelle rianimazioni i posti non solo illimitati, questo può mettere sotto stress il sistema. È il problema maggiore cui si può andare incontro, che può costringere le amministrazioni nazionali e locali ad adottare misure più stringenti.



Come stanno andando le terapie intensive?

In base ai dati Iss-ministero della Salute la Lombardia ha il 3,8% di posti letto occupati in terapia intensiva, una percentuale quindi sicuramente bassa. In Friuli Venezia Giulia, per esempio, abbiamo già il 13% dei posti in terapia intensiva occupati, nella Provincia di Bolzano siamo all’11% e al 10% nelle Marche. E sono tutti dati riconducibili a una popolazione vaccinata più bassa rispetto alla Lombardia.

Restiamo sui numeri. Nel week end la Lombardia ha superato due soglie psicologiche: l’incidenza dei malati Covid ogni 100mila abitanti è arrivata a 102, e solo venerdì scorso era 95, mentre i ricoveri nei reparti Covid ordinari, raddoppiati in due settimane, sono arrivati a 656, dunque per la prima volta dalla primavera scorsa a un livello di occupazione sopra il 10%. Guardando le curve epidemiologiche, c’è un trend che rischia di far tornare la regione nell’occhio del ciclone?

Per rispondere bisogna fare un ragionamento più ampio.

Prego.

Questa è la prima vera ondata che noi osserviamo dopo l’inizio della campagna vaccinale.

Quindi?

Quello che dobbiamo capire adesso è come si sono modificate le relazioni fra contagio, ospedalizzazione, accesso in terapia intensiva e decesso. Nelle prime due ondate del 2020 ci erano tutte ben chiare, ma allora il virus era libero di circolare senza la protezione del vaccino, senza l’utilizzo del Green pass e senza altre misure messe in atto. Eravamo quindi in grado di fare previsioni decisamente buone sull’andamento della pandemia.

Ad esempio?

A ottobre 2020 era stato segnalato un cambio repentino nella crescita delle ospedalizzazioni e quindi la necessità di adottare da subito misure restrittive, come poi fu fatto con l’introduzione delle zone rosse. L’attesa di un mese per arrivare a quelle misure ha avuto conseguenze drammatiche rispetto a ricoveri e decessi da dicembre a febbraio.

E oggi?

In questo momento la relazione tra le curve è meno chiara, perché – per fortuna – si interpone la variabile delle vaccinazioni. In più, stiamo ancora studiando se e come nel frattempo è rimasta invariata la temporalità di queste relazioni. L’anno scorso, osservato un certo numero di casi, sapevamo che grosso modo entro 10 giorni sarebbero aumentate ospedalizzazioni e accessi in terapia intensiva e che nel giro di tre settimane avremmo osservato un tot numero di decessi.

Con la variante Delta e con i vaccini è ancora così?

Non lo sappiamo. I 10mila casi giornalieri che rileviamo oggi in Italia come si tradurranno tra un po’ in occupazioni di posti letto negli ospedali e quanti decessi provocheranno? Penso che stiamo imparando questa nuova relazione. Ma c’è una terza nuova variabile da considerare.

Quale?

Come mostrano l’esperienza israeliana e alcuni studi clinici, stiamo arrivando in un momento in cui anche le seconde dosi, dopo i 6 mesi, cominciano a perdere di efficacia e quindi cominciano a calare le difese immunitarie. Il che sta per accadere proprio quando, in inverno, si verifica la maggiore diffusione del virus in termini di contagi.

Da statistico come si può definire l’attuale ritmo di crescita della pandemia in Lombardia?

In questo momento non è un ritmo preoccupante: sta subendo un’accelerazione, è vero, ma non con la medesima velocità di quella dell’anno scorso.

La pandemia peggiora in modo omogeneo su tutto il territorio regionale o ci sono differenze tra le province?

Purtroppo siamo ancora alle prese con il problema denunciato già a inizio pandemia: i dati, in particolare su ricoveri e terapia intensiva, della Protezione civile sono disponibili solo a livello regionale. Le Regioni avrebbero dovuto mettere a disposizione con maggiore tempestività i dati disaggregati a livello provinciale e comunale per garantire una capacità di analisi in grado di cogliere le eterogeneità a livello territoriale.

Quanti sono oggi i suscettibili in Lombardia?

Tutti siamo suscettibili, perché anche i vaccinati possono contagiarsi. Ma rischiano fino a 7 volte meno di avere un decorso della malattia grave, tanto da finire in ospedale o in terapia intensiva. Per questo bisogna mantenere alta l’attenzione sui comportamenti individuali e le misure come il green pass.

Si parla di circa un milione di persone non vaccinate…

È la cifra di quelli che ancora non hanno ricevuto entrambe le dosi, visto che all’86% della popolazione over 12, cioè a poco più di 7,76 milioni di residenti, è stata somministrata la doppia dose.

Che cosa ci dice la curva delle ospedalizzazioni?

La vaccinazione inciderà positivamente sul rapporto fra contagiati e ricoverati: oggi la percentuale è molto più bassa. Non è il numero dei contagiati che ci deve spaventare in questo momento. E neppure le curve delle ospedalizzazioni destano ancora lo stesso grido d’allarme di un anno fa.

Appunto, a che punto eravamo nel novembre 2020?

Allora avevamo una saturazione dei posti letto che sfiorava il 50%: il 22 novembre di un anno fa, per esempio, si contavano in Lombardia 8.391 ricoverati e 949 persone in terapia intensiva. Oggi 686 ospedalizzati e 65 in terapia intensiva. Attenzione, però: adesso abbiamo una variante sei volte più potente e i vaccini.

I vaccini quindi servono, fanno da scudo, mitigando gli effetti dell’ondata, o lo “schermo” è fragile e viene bucato?

I vaccini sono fondamentali.

Avremo un Natale a rischio e un gennaio allarmante?

L’anno scorso abbiamo in pratica toccato il livello odierno di occupazione dei posti letto il 14 ottobre – 645 pazienti con sintomi e 64 in terapia intensiva -, senza campagna vaccinale, e abbiamo impiegato un mese e mezzo per arrivare ai numeri di cui parlavamo prima. Io mi aspetto che le curve non accelerino in modo altrettanto repentino.

Cosa servirebbe per evitare il ritorno in zona gialla o arancione?

Nel 2020 abbiamo imparato che le zone gialle non sortiscono alcun effetto sulla circolazione del virus. Quindi serve grande attenzione nelle prossime settimane, quando da una parte registreremo una crescita dei contagi, ma dall’altra vedremo anche se la quota di popolazione non vaccinata sarà sufficientemente bassa da non richiedere uno stress eccessivo al sistema sanitario regionale. Ad oggi, visti i numeri, la situazione non è tranquilla, ma controllabile. E non mi aspetto che la Lombardia nel giro di un mese, un mese e mezzo possa tornare ai livelli di stress che abbiamo sperimentato nel 2020.

(Marco Biscella)

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