Il centro studi Confindustria ha stimato che l’impatto del prezzo del gas sull’economia italiana potrebbe erodere fino al 3,2% del Pil nel biennio 2022-2023. Il caro bollette sta mettendo in ginocchio interi comparti produttivi e diversi studi internazionali stimano l’arrivo se non proprio di una recessione, quanto meno di una stagflazione, con pesanti effetti su investimenti, consumi e crescita. Ma sull’agricoltura italiana, uno dei settori più importanti del nostro export, non aleggia solo lo spettro dei rincari energetici.



Sempre a causa della guerra in Ucraina la filiera ha dovuto fare i conti con le difficoltà di approvvigionamento dei fertilizzanti, prodotti decisivi per la smina e il raccolto. E ad aggravare la situazione ci si è pure messo il climate change, che ha portato siccità ed eventi meteo estremi sempre più frequenti. Risultato: produzione in calo, prezzi in crescita, aziende a rischio default. Quale scenario si presenta agli occhi degli agricoltori italiani? Rischiamo una caduta dei raccolti e una penuria di prodotti? E i consumatori debbono temere un autunno caldo sul fronte dei prezzi del carrello della spesa? Ne abbiamo parlato con Ettore Prandini, presidente di Coldiretti



Quale tributo sta pagando l’agroalimentare italiano alla guerra in Ucraina? Quanti punti percentuali di crescita stiamo bruciando?

Il trend negativo dell’agroalimentare è in linea con quelli degli altri settori produttivi, non c’è distinzione fra un comparto e un altro. Ma non è questo il punto, il ragionamento dovrebbe essere diverso.

Su cosa bisognerebbe puntare l’attenzione?

Occorre assolutamente evidenziare che l’agroalimentare va guardato non solo e non tanto per il suo, comunque indubbio, valore economico, produttivo e occupazionale, ma soprattutto per la sua decisiva valenza sociale, perché il cibo – e ce ne siamo accorti molto bene durante la pandemia e oggi con la guerra in Ucraina – riveste una enorme centralità. Laddove dovesse mancare o laddove dovessero verificarsi delle penurie, si creerebbero problemi sociali che investirebbero tutta la collettività. Un rischio che non va sottovalutato né dimenticato, come ci hanno dimostrato le Primavere arabe.



Corriamo questo rischio?

Oggi non sostenere la filiera agroalimentare significa diminuire la nostra capacità produttiva e non essere autosufficienti – già oggi non lo siamo in tante filiere – e ridurre ancor più la capacità che il nostro settore può avere in termini di prodotti. I paesi più avveduti stanno investendo proprio su questo fronte in misura particolarmente rilevante.

Anche il clima non aiuta. Siccità e maltempo quanto colpiscono l’agricoltura italiana?

La siccità ha provocato danni produttivi alle nostre filiere agricole pari a 6 miliardi, che arrivano quasi a 10 se consideriamo tutto il comparto agroalimentare. Ciò significa che senza investimenti o interventi di carattere strutturale, di fronte ai cambiamenti climatici, anche nei prossimi anni noi saremo sempre in forte difficoltà. Quindi, è giusto parlare di momento difficile, ma è la strategia che può darci le risposte.

A quali interventi pensa?

Occorre uscire dalla logica dell’emergenza, pianificando i bisogni dell’intera filiera.

Può citare un esempio? 

Dobbiamo realizzare, come stanno facendo Francia e Spagna, bacini di accumulo. Passando dal trattenere, come oggi, l’11% dell’acqua piovana al 52%, questo salto non solo garantirà la capacità produttiva, ma addirittura ad aumentarla, perché si porterebbe l’acqua sui terreni oggi non irrigui, si triplicherebbe le rese per superficie, dare valore economico alle imprese agricole, offrire un aiuto alle are interne del paese, che oggi spesso si ritengono abbandonate. E tutto ciò si tradurrebbe in una maggiore capacità competitiva internazionale del nostro sistema agroalimentare. Ecco, fare questo significa avere una visione in termini di interesse del paese.

Purtroppo non ci sono solo caro bollette e frequenti eventi meteo estremi. Anche sul fronte dei fertilizzanti si registrano problemi di approvvigionamento.  Com’è oggi la situazione?

E’ ancora complicata, ma non è più fortunatamente quella pesantissima di primavera-inizio estate, perché adesso dall’Ucraina un po’ di prodotti arrivano e anche a livello globale riscontriamo una maggiore disponibilità. Resta però il nodo dei costi: negli Stati Uniti il prezzo legato alle fonti energetiche è rimasto praticamente invariato rispetto al periodo prima del Covid e del conflitto bellico, mentre in Europa, nella migliore delle ipotesi, è quintuplicato.

Guardando all’Italia?

In agricoltura si registrano incrementi dei costi che vanno dal +170% dei concimi al +90% dei mangimi al +129% per il gasolio. Questo scenario ci spinge a chiedere con insistenza un intervento coraggioso da parte della Ue, perché se le misure vengono demandate ai singoli Stati membri, paradossalmente potrebbero crearsi delle asimmetrie competitive interne e, in modo esponenziale, rispetto ad altre aree del mondo.

Cosa chiedete a Bruxelles?

La Ue ci ha giustamente chiesto di condividere una posizione geo-politica di sostegno all’Ucraina, ma dovrebbe essere così coerente da riconoscere che dovrebbe farsi carico in gran parte delle sue ricadute negative di carattere economico. Così come è stato fatto con il Recovery plan durante il periodo Covid.

Le imprese agricole italiane sono davvero allo stremo?

Secondo il Crea, più di un’azienda agricola su 10, esattamente il 13%, è in una situazione così critica da portare alla cessazione dell’attività, ma il 34%, un terzo abbondante del totale nazionale, si trova in difficoltà economica per effetto dei rincari. Sono numeri drammatici, mai visti dal dopoguerra a oggi. Pesano soprattutto gli aumenti esponenziali dei costi di produzione, che finora – grazie a un enorme lavoro con l’industria, il mondo della cooperazione e il mondo della distribuzione – siamo riusciti a non riversare pesantemente sui consumatori. Intanto, però, le imprese agricole rischiano di pagare lo scotto maggiore.

E’ notizia di ieri che il pane in Europa ha raggiunto il prezzo più alto della sua storia, con un aumento del 18% in un solo anno. Sono in arrivo altri rincari?

Nel prossimo autunno-inverno, se questa situazione non dovesse cambiare, è evidente che assisteremo a un aumento dei costi del carrello della spesa alimentare e questo causerebbe non pochi problemi a molte famiglie italiane. E’ una prospettiva per noi molto preoccupante, nonostante i dati confortanti che arrivano dall’export agroalimentare.

Tra poco avremo un nuovo governo. Quali sono le vostre richieste?

Purtroppo non abbiamo il tempo di aspettare un nuovo governo, tant’è vero che abbiamo sollecitato l’attuale esecutivo a convogliare tutte le risorse destinate a forme di ristoro e di agevolazione a favore solo ed esclusivamente alle imprese.

Perché?

Garantire la continuità di lavorazione alle varie filiere produttive è la prima risposta efficace di carattere sociale: se un’azienda è costretta a mettere in cassa integrazione i suoi dipendenti, queste persone non potranno più godere della stessa retribuzione. Anche intervenendo con tutti i bonus possibili, gli incentivi non saranno mai in grado di coprire quello che veniva percepito regolarmente come salario. In tanti altri paesi europei sono già stati pianificati interventi di questo tipo, da noi invece troppo pochi.

Ci sono misure urgenti, non indifferibili, da adottare per sostenere l’agricoltura e la filiera agroalimentare?

La prima azione da intraprendere subito è aprire un confronto duro a livello europeo. E’ inaccettabile e scandaloso che in questo frangente particolarmente drammatico ancora oggi l’Europa non abbia avuto il coraggio di porre un tetto al prezzo del gas e soprattutto di distinguere fra prezzo del gas e prezzo dell’energia elettrica. Così ci penalizza in modo abnorme rispetto ad altri Stati membri, perché l’Italia è meno autosufficiente sulle fonti energetiche, anche a causa di errori strategici che oggi paghiamo caro. Altrimenti il rischio è che solo i più forti riescano alla fine a sopravvivere.

Come evitarlo?

Se siamo Europa, dobbiamo dare una risposta da Europa per garantire a tutti la possibilità di continuare la propria attività. Così non dovesse essere, significa perdere capacità produttiva, con pesanti conseguenze sull’intero sistema economico. Credo che questo sia il primo intervento che il nostro governo dovrebbe mettere in campo.

(Marco Biscella)

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